Visto che «la discussione sulla legge elettorale non è stata aperta e non è all’ordine del giorno», come spiega il segretario Enrico Letta così confermando il ritrovato feeling del Pd con il Rosatellum – che nell’ultimo scorcio della legislatura, anche nel caso di scadenza naturale, sarà a questo punto assai difficile modificare – i deputati democratici si concentrano sul regolamento della camera. E tre mesi e mezzo dopo l’annuncio di Letta, che ne parlò nel suo primo discorso «in procinto di diventare leader», presentano una proposta di modifica molto corposa con al centro una stretta agli spostamenti dei deputati da un gruppo parlamentare a un altro «contro il trasformismo e i cambi di casacca».

Ma c’è molto altro nel testo del Pd, al di là di questa adesione al sentimento anti «voltagabbana». C’è anzi un cambio di impostazione rispetto a quanto si era visto fin qui nella giunta per il regolamento di Montecitorio. Lì dentro erano stati solo i 5 Stelle a spingere per quella revisione strutturale del regolamento alla quale misteriosamente si opposero sul finire della scorsa legislatura. Gli altri partiti, Pd compreso, raccomandavano invece interventi puntuali e rapidi sui quorum che bisogna adattare al taglio dei parlamentari. Dieci mesi sono infatti passati da quando il presidente della camera avvertì la «grande responsabilità» di «far trovare pronte le camere» che nella prossima legislatura partiranno con i nuovi numeri, ma sono passati invano. La proposta del comitato ristretto che era attesa per maggio non è mai arrivata e così non c’è ancora alcuna indicazione su come potrà lavorare la camera quando passerà da 630 a 400 deputati. C’è adesso nella proposta presentata dal Pd che taglia le commissioni permanenti da 14 a 10 (difesa con esteri, finanze con bilancio, ambiente con trasporti e agricoltura con commercio) e abbassa a 15 il numero di deputati necessari per formare un gruppo. Un taglio, dai 20 attuali, contenuto (la proporzione rispetto alla riduzione dei parlamentari dice che bisognerebbe scendere a 13) che aggraverà le difficoltà dei partiti piccoli già penalizzati dal taglio dei parlamentari e dalla (prevedibile) legge elettorale maggioritaria. Crescerà dunque il gruppo misto, ma secondo la proposta Pd potrà formarsi solo in avvio di legislatura. Successivamente i deputati che lasciano il gruppo nel quale sono stati eletti possono andare solo tra i «deputati non iscritti ad alcun gruppo» (con penalizzazioni soprattutto in termini di rimborso spese). Eccezione solo in caso di scissioni di consistenza pari ad almeno 1/5 del gruppo originario e divieto per il singolo anche di passare da un gruppo già formato a un altro. Una pratica che secondo Letta «umilia il nostro parlamento e crea sfiducia», quella per intenderci assecondata dal Pd al senato quando a gennaio per consentire la nascita del gruppo che avrebbero dovuto salvare il Conte 2 «prestò» una senatrice al gruppo «europeista».

La proposta di modifica del regolamento ha come primo firmatario il responsabile delle riforme istituzionali del Pd Giorgis, nella giunta è già depositata una assai più contenuta del deputato Baldelli di Forza Italia. Le altre novità e previste sono una sorta di udienza filtro che entro 30 giorni dovrà decidere sulla «presa in considerazione» dei disegni di legge di iniziativa popolare o regionale, oggi sempre trascurati, e la necessità che le espulsioni dal gruppo, pratica frequente nei 5 Stelle, siano decise a maggioranza assoluta. Torna poi il voto a data certa, che arriva nel regolamento della camera direttamente dalla riforma costituzionale Renzi bocciata nel referendum del 2016. Allora il governo poteva chiedere di votare un testo entro massimo 75 giorni, oggi il termine scenda a 45. L’intenzione dichiarata è buona: diminuire i decreti legge. Si vedrà, per il momento il nuovo strumento si affiancherebbe ai vecchi. Compreso il più inflazionato: se da una parte vengono resi più difficili i maxi emendamenti, dall’altra si accelerano i tempi dei voti di fiducia. E con nuovi limiti agli ordini del giorno e alle dichiarazioni di voto si complica, anche, l’ostruzionismo delle opposizioni.