Pace fatta alla Camera, non ancora al Senato. Tra Letta e Delrio, il presidente uscente dei deputati Pd, l’accordo è arrivato ieri mattina, nella riunione del gruppo con il segretario, ma non c’erano in realtà dubbi. Delrio aveva già deciso di difendere l’unità del partito e del gruppo. Dunque rassegna le dimissioni senza porre ostacoli e incassa i ringraziamenti sentiti di Letta insieme all’incarico di gestire il passaggio e organizzare l’elezione del nuovo capogruppo, probabilmente la settimana prossima.

AL SENATO INVECE l’assemblea del gruppo con Letta va molto meno liscia e alla fine il capogruppo uscente Andrea Marcucci non si arrende: «La tua proposta di cambiare capogruppo è troppo generica. Convoco per giovedì alle 9 il gruppo per eleggere il presidente e in queste ore vedrò se ci sono le condizioni per una mia ricandidatura».

FOSSE PER LUI, Marcucci resisterebbe anche a costo di rischiare una spaccatura nel partito appena ricucito ma i leader di Base riformista, Guerini e Lotti, sono di diverso avviso. Anche perché, in caso di rottura, la presenza dell’area nelle future liste elettorali sarebbe inevitabilmente molto penalizzata, mentre l’accordo garantisce un credito che verrà incassato proprio con le liste. A premere direttamente su Marcucci è Guerini mentre Letta, subito prima della riunione a palazzo Madama, ha incontrato Lotti.

IL CAPOGRUPPO uscente ancora esita ma tutte le previsioni danno la sua scelta per obbligata. Base riformista insisterà per una sua esponente alla presidenza, con due candidate possibili: Simona Malpezzi, che metterebbe d’accordo tutti essendo una figura di mediazione, e Caterina Bini, più radicale e molto vicina a Marcucci. Con il Senato ancora guidato dalla corrente ex «renziana», alla successione di Delrio arriverebbero o Debora Serracchiani oppure, più probabilmente, Marianna Madia. Da questo punto di vista, il segretario ha evitato ogni pressione: «Unità non vuol dire unanimità e non c’è niente di male se i gruppi si confrontano sui nomi».

DOPO AVER USATO la clava nel weekend, Letta è tornato alla diplomazia. Già lunedì sera aveva telefonato a Delrio per sminare la strada. Ieri è arrivato in anticipo alla Camera proprio per confrontarsi direttamente con il capogruppo uscente. Nel discorso ai senatori, dopo aver ricordato a tutti che oggi incontrerà il futuro leader dei 5S Conte, ha assicurato che la richiesta di eleggere capigruppo donna non è strumentale ma convinta, dal momento che una squadra «con il segretario, i due capigruppo, 3 ministri e 5 presidenti di Regione tutti maschi è irricevibile». Inoltre il segretario ha riaffermato l’assoluta autonomia del gruppo: «Qualunque donna deciderete di scegliere per me sarà la migliore. In me troverete un interlocutore sempre aperto ma chiedo trasparenza e correttezza nei comportamenti».

AL SENATO LETTA sapeva di avere di fronte un percorso molto più in salita. Al mattino aveva ricevuto una lettera di Marcucci la cui ultima frase, «accettiamo consigli, non imposizioni strumentali» rivelava che il nodo non era stato sciolto. Anche a palazzo Madama Letta ha voluto parlare a quattr’occhi con il capogruppo uscente prima di affrontare l’assemblea dei senatori, ma il colloquio è stato molto meno disteso di quello della mattina con Delrio. I due si sono detti quello che entrambi hanno poi ripetuto nell’assemblea. «Autonomia dei gruppi non vuol dire che gruppi e partito vanno in direzione diversa», ammettendo implicitamente che sul tavolo non c’è solo il riequilibrio della rappresentanza di genere ma anche la fronda continua del gruppo al Senato, dove Base riformista è maggioritaria. E poi: «Chiedo ad Andrea un gesto di generosità». Marcucci ha replicato, in privato e in pubblico, con toni altrettanto tesi: «Quello che mi dà più fastidio è che molti non hanno riconosciuto il lavoro che abbiamo fatto e qualcuno ci ha continuato a considerare un corpo estraneo nel partito».

LA PARTITA non è ancora chiusa ma ieri, con l’accordo alla Camera e la riappacificazione con Delrio, Letta ha risolto metà del primo grosso problema che incontra nelle nuove vesti di segretario. Ora ha due giorni per chiudere positivamente, al Senato, l’intera partita dei capigruppo.