In questa vigilia elettorale Enrico Letta appare effettivamente «sereno». Senza ironie. Nel senso di uno che, con la farina che aveva (per usare la metafora di Prodi), ha preparato il miglior pane possibile. E lo ha fatto tenendo in ordine la cucina del Pd (mai così quieto da anni) e senza neppure litigare troppo con l’altro cuoco, Giuseppe Conte.

LE URNE DIRANNO se questa pagnotta gli italiani la compreranno nelle urne, e in che misura. Se sarà un dato accettabile o se ci sarà quell’assalto ai forni che per Letta vorrebbe dire 5 grandi città su 5, da Napoli a Torino, più i due collegi di Siena e Roma-Primavalle. Ma il fatto stesso che, alla viglia, al Nazareno riescano a ipotizzare il cappotto contro Salvini-Meloni è il segnale che la campagna è andata bene. Che il Pd è «più che competitivo». Molto bene se paragonata al disastro delle destre, con candidati improvvisati, liti, scandali a base di sesso e droga e inchieste che rivelano nostalgie fasciste.

LETTA HA BEN CHIARO quali saranno i risultati che «orienteranno al lettura del voto»: la sua performance personale nel collegio di Siena e Roma. Senza dimenticare Napoli, unica metropoli dove l’asse Pd-M5S gioca in mare aperto (a Bologna non c’è partita). Il leader Pd ha scelto di seguire lo spoglio a Siena, per dare un segnale chiaro che non farà il paracadutato ma il «deputato di collegio»: che le migliaia di mani che ha stretto nei 35 comuni tra Siena e Arezzo da fine luglio fino a venerdì notte per lui sono un impegno reale, che riguarda la sorte di Mps e non solo. Ma è chiaro che conta anche la Capitale, dove il Pd sogna di riprendersi dopo l’incubo del 2016.

SE DOVESSE CENTRARE questi obiettivi, per Letta si aprirebbe un’autostrada verso le politiche: non nel senso della sbornia che prese i progressisti nel 1993/94 quando, dopo la vittoria nelle città, si schiantarono contro Berlusconi alle politiche. Ma nel senso di avere una ampia agibilità dentro il partito su alleanze e liste.

Tanto da potersi permettere anche un congresso nel 2022 per chiudere definitivamente la partita con gli orfani di Renzi che sognano di mettere al suo posto l’emiliano Stefano Bonaccini. E che non vogliono un nuovo Ulivo, più a sinistra sui temi sociali e alleato col M5S, ma inseguono fumisterie centriste o nuovi governi di larghe intese. Ecco, se Letta vince a Roma e Siena può occuparsi serenamente delle prossime politiche da leader indiscusso.

SE ANDASSE DIVERSAMENTE, magari perdendo Roma e Torino ma vincendo Napoli, Bologna e Milano, andrebbe avanti con una fronda interna pronta a fargli la guerra, ma senza troppe armi. Diverso il caso di una sconfitta a Siena: per lui sarebbero dolori. In quel caso un congresso anticipato dopo l’elezione del Capo dello Stato potrebbe segnare la fine della sua leadership.

Il senso politico di questa partita si capirà già domani pomeriggio. Con Letta che si è lasciato andare a un pronostico rischioso: «Vedrete, il Pd sarà il primo partito». «Due mesi e mezzo fa l’Italia si stava preparando a consegnarsi a Salvini e Meloni», ha detto lasciando Siena per tornare a votare a Roma. «Le cose sono cambiate perché facendo una campagna di territorio abbiamo cambiato il volto politico del paese».

POI PERÒ SI APRE IL DOSSIER ballottaggi, e lì la sfida si complica. Letta vuole assolutamente il sostegno di Conte se i suoi candidati a Roma e Torino (Roberto Gualtieri e Stefano Lo Russo) andranno ai ballottaggi contro le destre. «Mai visto nessuno, prima del primo turno, dire che si alleerà e farà indicazioni di voto al ballottaggio. Ognuno chiede il voto per i propri candidati. Ma alla fine ci saranno convergenze sostanziali», ha spiegato ieri al Mattino.

IL LEADER PD NON SI ASPETTA mosse da Virginia Raggi o dai grillini torinesi, che saranno ancora coperti dalla sabbia e dalle ferite della battaglia: vuole che siano Conte e i vertici nazionali, da Di Maio a Fico al ministro Patuanelli a dire che per loro «l’avversario è la destra». E a dare quindi la prova d’amore per blindare la coalizione che dovrebbe presentarsi alle politiche. «Si va verso un nuovo bipolarismo, o di qua o di là», ripete, «non c’è più spazio per sfumature».

Letta, che giura di non aver in mente altri governi Draghi dopo il 2023, si è messo in testa di poter sfruttare il traino dell’alto consenso del governo. E di poterlo fare perché il Pd è stato in questi mesi il partito più leale e collaborativo con Super Mario. Di certo, in queste settimane, dopo sei anni da professore a Parigi, gli è tornata la passione per la politica. Gli è piaciuto fare mille incontri, anche con piccoli gruppi di persone. Ha percorso 10mila chilometri e perso 6 chili. Ma a 55 anni assicura: «È stata la campagna più bella della mia vita».