«Il centrodestra è molto attento alla giustizia», dice Enrico Letta e il suo è un attacco: «Hanno candidato due magistrati, a Napoli come sindaco e come vicesindaco a Roma, peccato che siano in funzione nel posto dove si candideranno». Ora che è ufficiale, il Pd si accorge del problema Catello Maresca, sostituto procuratore generale a Napoli in campagna elettorale praticamente da sette mesi che però solo qualche settimana fa ha chiesto al Csm di poter andare in aspettativa in vista dell’accettazione della candidatura. Del suo caso si era anche occupato il Csm, su segnalazione proprio del procuratore generale di Napoli Luigi Riello.
Il Consiglio superiore aveva però concluso – con una votazione a stretta maggioranza – che nessun intervento era necessario, perché la legge non esclude la possibilità che un magistrato in servizio si candidi alla guida del comune nella città dove esercita com’è anche il caso più recente di Simonetta Matone, anche lei sostituta procuratrice generale ma a Roma città dove per il centrodestra correrà come vicesindaca in quota Salvini. Ieri la magistrata ha confermato di aver presentato richiesta al Csm per andare anche lei in aspettativa.

Letta definisce «un errore» la candidatura dei magistrati in servizio anche se riconosce che «la legge italiana non lo impedisce». Ed è «un buco», sostiene. Anche perché Maresca e Matone «hanno preso decisioni delicatissime e hanno accesso a dati sensibili della terra dove si candidano». La legge attuale in effetti non impedisce questo comportamento, limitandosi a prevedere che la toga dovrà essere in aspettativa nel momento in cui firmerà la candidatura, quindi anche solo un mese prima del voto amministrativo che nelle città sarà tra il 15 settembre e il 15 ottobre. Sia il Csm, però, che l’Associazione nazionale magistrati (dalla quale Maresca si è dimesso) negli anni hanno raccomandato alle toghe di evitare di candidarsi alla guida delle città dove esercitano. E sul punto in generale dei magistrati in politica – e in particolare dei magistrati che vogliono candidarsi a sindaco nelle città medio grandi – interviene il disegno di legge delega su Csm e ordinamento giudiziario all’esame della camera. Una delle «riforme della giustizia» sotto i riflettori. Che introduce il divieto ai magistrati di candidarsi a sindaci se non hanno cambiato sede da almeno due anni.

A Letta hanno replicato sia Meloni – «e non se ne è accorto quando si è candidato Emiliano o de Magistris o Ingroia? È il classico due pesi e due misure della sinistra» – che Salvini – «è curioso che il Pd abbia riempito di magistrati comuni, regioni e parlamento e quando ci sono due uomini di giustizia che fanno una scelta diversa, apriti cielo». Mettere in carico a Letta o al Pd Ingroia e De Magistris non è corretto, ma va detto che dei quattro soli magistrati in aspettativa per incarico elettivo, in questo momento, due sono del Pd: Emiliano presidente della regione Puglia e Caterina Chinnici europarlamentare, uno di Italia Viva – Cosimo Ferri deputato – e una di Forza Italia, Giusi Bertolozzi deputata anche lei.