Si vedono di buon mattino, all’ora del caffè. Escono e proclamano soddisfazione e amorosa intesa, ma siccome non potrebbero dire altro vuol dire molto poco.

In concreto, tra Enrico Letta e Matteo Renzi i motivi di frizine restano tutti e il principale riguarda non la tabella di marcia ma la rapidità del viaggio. Per il presidente del consiglio la legge elettorale deve arrivare presto, certo. Ma per lui «presto» significa entro le elezioni europee, dunque in maggio, quando le finetsre elettorali per accorpare politiche ed europee saranno sprangate. Per il sindaco, invece, presto vuol dire più o meno subito. La data del 27 gennaio, fissata per l’avvio alla Camera della discussione sulla nuova legge, non la intepreta affatto come faccenda puramente simbolica ma come la partenza di una marcia forzata, tanto veloce da concludersi prima del 25 marzo, ultimo termine possibile per votare in maggio.

Identico discorso vale per l’elenco degli interlocutori privilegiati e prioritari. Il premier insiste sulla necessità di battere prima alla porta dei soci di maggioranza, in soldoni di Angelino Alfano. Renzi ripete, e fa chiarire ai suoi nel corso della giiornata, che la legge elettorale «si fa con chi ci sta» e nessuno conta più degli altri..

Non è una divisione di poco conto, ma i due sono obbligati a tenerla sotto traccia. Letta perché non può permettersi di passare per premier interessato soprattutto a difendere la cadrega, Renzi perché non può dare l’impressione di voler dare il benservito seduta stante al capo del governo. Pace, dunque, almeno sulla carta. Ma non certo con gli stessi toni. L’inquilino di palazzo Chigi si allarga entusiasta: «Io e Renzi siamo determinati ad andare avanti, e da lui verrà un contributo importante». Il sindaco-segretario va più sul laconico: «Abbiamo entrambi voglia di applicarci». Di più non dice anche se la girandola di colloqui prosegue per tuttala mattina: prima Franceschini, che al termine si dichiara ottimistissimo, poi Cuperlo.

Le parole, in effetti, servono a poco. A parlare dovranno essere i fatti. Il concetto, ribadito anche ieri mattina dal segretario ruggente, infatti è secco: se Alfano fa sul serio, se vuole chiudere davvero sul doppio turno deve dimostrarlo in aula. A quel punto, pur di fare presto, il sindaco si acconcerebbe probabilmente anche a ingoiare una legge che in realtà non è la sua preferita.. Ma al primo segnale di gioco al rinvio, il tavolo principale diventerà quello a cui è seduto Silvio Berlusconi. Da quel momento, a tenere banco sarà il sistema spagnolo, il preferito da Renzi, come da Berlusconi e Grillo. Perché alle argomentazioni dei lettiani, secondo cui con Berlusconi non si può trattare, essendo impossibile concordare la legge elettorale «col pregiudicato» Matteo Renzi assegna valore pari a zero.

La legge elettorale è il piatto forte. Il resto, patto di governo e maggioranza per tutto il 2014, è contorno. Qui è Letta a voler fare presto. Per lui il 27 gennaio è la data entro la quale sventolare trionfante la firma di quel patto. Il menu? Job Act, riforme istituzionali da portare al compimento della prima lettura entro l’estate, unioni civili sul modello tedesco, che per Alfano dovrebbe essere digeribile. Non a caso ha alzato le barricate su una eventualità, i matrimoni gay, a cui nessuno ai piani alti del Pd ha mai pensato.

Sulla tenuta del governo per tutto l’anno invece l’intesa sembra perfetta. A parole. Quello è un capitolo che si aprirà davvero solo dopo l’approvazine della nuova legge, se arriverà in tempo per votare in maggio. E a quel punto l’esito, nonostante proclami e dichiarazioni, sarà tutt’altro che scontato. Tanto più che, secondo un’indiscrezione pubblicata da Dagospia ma probabilmente non infondata, la stessa ostilità di Napolitano all’ipotesi di voto in maggio sarebbe diminuita di parecchio. La fase più incandescente dell’emergenza in fondo pare finita. Il segretario del partito, per un ex comunista, è pur sempre il segretario. E donna Clio di alloggiare al Quirinale proprio non ne può più .