Letta, quasi vittoria neocentrista. Renzi: ora faccia quello che dice
Democrack Malumori nel Pd per l'asse fra i moderati. Nei giorni della crisi gli ex ds non toccano palla. Gentiloni avverte, a nome del sindaco: saremo i guardiani del programma
Democrack Malumori nel Pd per l'asse fra i moderati. Nei giorni della crisi gli ex ds non toccano palla. Gentiloni avverte, a nome del sindaco: saremo i guardiani del programma
Alla fine della giornata più pazza della Repubblica, in cui Berlusconi cambia idea tre volte e costringe i suoi a smentire le smentite, Letta segna molti punti. È in sella; ha piegato il Cavaliere. Ma non porta a casa la «nuova maggioranza» nata dalla rottura del Pdl, missione per cui vuole restare negli annali della Repubblica. Il ventennio berlusconiano non è ancora chiuso. E tuttavia non è, per dirla ancora con Letta, «il giorno della marmotta», quello che in cui ogni mattina riparte lo stesso disperante giorno.
Se Berlusconi non è stato defenestrato dalle larghe intese, il premier incassa la promessa dei «diversamente berlusconiani» di una rapida formazione di gruppi parlamentari autonomi da Forza Italia e fedeli al governo. Tanto basta per far annunciare al premier: «Questo passaggio cambia la natura del governo», «io lo interpreto così, un cambio di passo vero e reale». E il contrordine berlusconiano, il sì finale, è, dice il capogruppo al senato Luigi Zanda, «solo un tentativo di nascondere la sconfitta». «Da domani non si può tornare a ieri», avverte Guglielmo Epifani alla camera.
L’operazione di spaccare il Pdl è avviata. I franceschiniani esultano davanti ai cronisti: «Letta ha messo sotto scacco Berlusconi, ora in minoranza nella destra» (Ettore Rosato). La destra si spaccherà poi, «che fretta c’è?», minimizza Giuseppe Fioroni, «nei prossimi giorni il Pdl subirà molti traumi, non c’è bisogno che vadano via da casa loro. State tranquilli», ironizza all’indirizzo dei colleghi ex ds, «anche stavolta morirete democristiani».
Messaggio chiaro sul futuro del centrosinistra. Lo capisce bene una cattolica poco incline al neocentrismo come Rosy Bindi. Che infatti avverte: «Anche se Berlusconi è gregario e stavolta ha seguito e non condotto le truppe, resta che questo è un governo sostenuto dal Pd e da una parte del centrodestra e che quindi siamo ancora dentro la logica delle larghe intese. Voglio essere esplicita: se la nuova maggioranza politica che sostiene questo governo tendesse a diventare una maggioranza politica stabile, un’operazione neocentrista o qualcosa del genere, si sappia che una stragrande maggioranza del Pd non sarebbe d’accordo».
Il rischio è forte, a giudicare dalle facce da funerale dei democratici di ceppo Pci in giro per i Transatlantici di camera e senato. Nell’ultima settimana di precipitazione verso la crisi non hanno toccato palla. E la futuribile «nuova maggioranza», come Franceschini e Letta la chiamano, verrà – se verrà – dal lavorìo fra centristi di Pd e Pdl. Ce n’è per mettere in guardia anche Nichi Vendola, che a pranzo incontra Renzi. Sel non vota la fiducia e vede nubi nel futuro del centrosinistra: «Alla fine di questa crisi la maggioranza appare allargata, accresciuta, con una splendida capacità di seppellimento delle questioni reali. Attenzione: l’idea che ci congediamo da Berlusconi e ci teniamo il berlusconismo mi pare un pericolo molto reale».
Ma Letta giura, al senato con meno verve – attento a non umiliare la pattuglia dei «diversamente berlusconiani» – alla camera con più piglio, «l’Italia ha bisogno che non ci siano più ricatti, tipo ’o si fa questo o cade il governo, anche perché si è dimostrato che il governo non cade». Il governo «ora può fare affidamento su una maggioranza politica coesa», diversa «da quella numerica che si è manifestata oggi al senato», dove la fiducia ha fatto l’en plein dei voti delle larghe intese: 235 sì, 70 no. La «nuova maggioranza» per ora è identica a quella vecchia. «No, oggi il governo è più forte, questo vuol dire che la situazione diventa finalmente normale e il Pd si avvia a celebrare il congresso», spiega il ministro Andrea Orlando. «Le elezioni le voleva solo Berlusconi, che è finito isolato e in minoranza anche fra i suoi». Ma davvero era solo il Cav a voler andare al voto subito? Orlando non ha dubbi sui suoi: «Renzi legge i sondaggi: il 75 per cento degli italiani al voto non ci vuole andare». Le urne si proiettano verso il 2015, come vuole Napolitano.
Ma non è un caso che i renziani, che martedì sera si erano sentiti incatenati dal giuramento fatto dal sindaco direttamente a Palazzo Chigi di non bombardare il governo, oggi invece hanno ripreso piglio e avvertono: «Quello che ha detto Letta, nel suo discorso ci basta e ci avanza. Abbiamo detto a Berlusconi che è eversivo, gliene abbiamo dette di tutti i colori. Peggio per lui se continua a votarci la fiducia. Vuol dire che andremo avanti ancora più determinati», dice Dario Nardella, «Per esempio: ora si torni sulla vicenda dell’Imu, e ci si torna con l’impostazione che volevamo dare noi alla sua riforma».
Quindi via il porcellum, «male assoluto», e sì alla detassazione del lavoro, su cui il Pdl non è mai stato entusiasta, promette il premier. Andrà davvero così? «Saremo i guardiani del programma di Letta», è la promessa del renziano Paolo Gentiloni. Che però suona come un avvertimento. Se non è il giorno della marmotta, gli assomiglia parecchio.
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