La scaramanzia è d’obbligo, alla vigilia di ballottaggi, ma ieri a Firenze, all’incontro «la Repubblica delle idee», Enrico Letta si è detto ottimista: al primo turno dagli elettori Pd è arrivato «un segno di fiducia». A questi elettori il premier ha mandato un messaggio confortante, a suo modo: le larghe intese non dureranno in eterno, «non c’è bisogno di nessuna pacificazione. Non mi sento Togliatti dopo la guerra, né Moro o Berlinguer. Ma credo che dovremo lavorare tutti perché questo tentativo abbia successo».

Perché i larghintesisti del Pd un fatto ormai hanno chiaro: la lettura del risultato del primo turno come un «sì alle larghe intese», che Letta fa dalle primissime ore del voto, è forzata. Il voto dice semmai il contrario: e cioè che l’elettorato democratico per metà resta a casa sfiduciato e per l’altra metà guarda con quel po’ di fiducia residua alle alleanze di centrosinistra che si sono candidate a governare le città.

Roma, anzi, ha tutte le caratteristiche di un laboratorio politico del partito anti-larghintesista. Lo dimostra la foto del palco, venerdì scorso a piazza Farnese, alla chiusura della campagna di Ignazio Marino: Pisapia, Zedda, Serracchiani, ovvero gli amministratori simbolo dell’alleanza centrosinistra più società civile («e non Fassino o Merola, per intenderci», come spiega il vendoliano Smeriglio). Il favorito Marino al Colle ha votato per Rodotà e al senato non ha votato per il governo Letta. Uno dei suoi determinanti sostenitori, Nicola Zingaretti è capofila della rivolta «anticorrenti» nel Pd; l’altro, Goffredo Bettini, è il teorico del «nuovo campo largo». Intorno a Marino, c’è l’alleata Sel e una galassia di movimenti e comitati e persino gran parte degli arancioni della diaspora ingroiana. Nel comitato elettorale l’idea di un Pd rifondato e sciolto dall’abbraccio col Pdl è stata una parola d’ordine in questi mesi. Se vincerà Marino – gli scongiuri sono d’obbligo – avrà vinto questa idea di partito.

Dopo i ballottaggi nel Pd partirà il lavoro della commissione che dovrà decidere le regole del congresso. Il busillis ruota intorno alla platea che elegge il segretario, se di soli iscritti o, com’è oggi, di tutti gli elettori del costituendo albo, già oggetto di polemiche alle scorse primarie. Renzi, che ieri a Firenze ha avuto un lungo incontro con Letta, è intenzionato a tentare la corsa alla segreteria, ma a patto che i gazebo siano «aperti» a tutti. Letta non gli ha detto di no. Anzi ha aggiunto: «Chi pensa che noi rinverdiremo antiche storie di galli nel pollaio, ha sbagliato film». Letta non ha intenzione di ricandidarsi. E sarebbe pronto anche a sostenere Renzi, a patto di non essere impallinato da lui. Ma la corsa di un leader può prescindere dalla sottolineatura dell’identità del Pd ergo dalla presa di distanza dalle larghe intese?

Il fatto è che il «patto di sindacato fra correnti» (copyright Matteo Orfini, giovani turchi, corrente in via di rifondazione e non in linea con le maggiori) vuole rimandare a settembre la definizione delle regole. Tenendo così a bagnomaria per tutta l’estate sia Renzi sia gli altri candidati. Quasi tutti. Ieri Pippo Civati, da Genova, dove ha lodato il modello «Pisapia-Doria», ha spiegato: «Gli altri candidati sono indecisi, c’è quello molto famoso che è indecisissimo. Gli altri stanno cercando di posizionarsi, io siccome sono matto ho deciso di posizionarmi per primo». In effetti il candidato Gianni Cuperlo, impegnato in un delicato lavoro di riunione della frantumata sinistra interna, viene spesso descritto come possibilista verso un ticket con Renzi. Chi lavora con lui nega con vigore; ma non può negare che la presenza o l’assenza di Renzi, a congresso, fa la differenza.

Quindi che fare, almeno fino a settembre? Domattina, a urne ancora aperte, al Nazareno si terrà un seminario «per ragionare sulla possibilità di unire su una piattaforma comune di forze diverse ma interessate alla rinascita di un partito di sinistra vero, pluralista, e popolare». Con Cuperlo discuteranno Folena, del Laboratorio politico della sinistra, Damiano, dell’associazione Lavoro&Welfare, Chiti, per Politica e società, Lucà, dei cristiano sociali, e Benvenuto, della Fondazione Buozzi, Tocci, del Centro riforma dello stato.