Giuseppe Conte dà forfait. Domenica aveva deciso di accettare la generosa offerta di Letta di candidarsi alla Camera nel collegio di Roma centro, dove si voterà a metà gennaio per il seggio lasciato vacante dal sindaco Roberto Gualtieri. Ieri la marcia indietro. In conferenza stampa il leader M5S ha annunciato: «Ringrazio il Pd e Letta per la disponibilità e la lealtà, ma dopo un nuovo supplemento di riflessione ho capito che in questa fase ho ancora molto da fare per il M5s. Non mi è possibile dedicarmi ad altro».

IN VERITÀ IERI LA CORSA si era parecchio complicata. Carlo Calenda, che in quella zona di Roma al primo turno aveva raggiunto il 30%, si era messo di traverso con toni più che bellicosi, accusando il Pd di «sottomissione» al M5S e annunciando di essere pronto a candidarsi contro Conte. Una sorta di marcatura a uomo al grido di «I 5S hanno devastato Roma, farò di tutto perché non mettano mai più piede in città».

La minaccia era quella di trasformare la campagna in un wrestling, disciplina in cui Conte non eccelle. Un po’ come quando Giuliano Ferrara nel 1997 si candidò nel Mugello per disturbare Antonio Di Pietro, che era stato scelto dai vertici dell’Ulivo per benedire il suo ingresso nella coalizione. Solo che stavolta le chance di Calenda di fare uno scherzetto all’avvocato erano molto più alte, anche se quel collegio è largamente di centrosinistra, avendo eletto Gentiloni nel 2018 e poi Gualtieri nel 2020 con distacchi notevoli dal centrodestra.

NIENTE REPLAY DEL MUGELLO, dunque. Il leader M5S, anche a costo di scontentare i dem (che avevano deciso di puntare su si lui per cementare l’alleanza Pd-M5S, da Letta a Bettini, Franceschini e Zingaretti), ha battuto in ritirata. Spiegando che «una volta eletto avrei rischiato di essere un assenteista». E ancora: «Non credo che per le elezioni al Quirinale la mia presenza in Parlamento sia necessaria. Non avere uno scranno non mi impedirà di avere un ruolo da protagonista come leader del primo partito. Continuerò a incontrare i cittadini sul territorio, a coltivare un dialogo».

PER IL PD LA BOTTA È FORTE. L’obiettivo di rafforzare Conte in questa fase e di stringere i bulloni dell’alleanza con un M5S sempre più allo sbando era prioritario. E invece ora a prevalere è il «rammarico per una buona occasione persa». Con un problema in più: Calenda ancora una volta si è messo di traverso. Per Conte «il campo largo» di cui parla Letta «rischia di trasformarsi in un campo di battaglia». «Le uscite saccenti e sguaiate di Calenda confermano che non ci sono i presupposti per una collaborazione così larga. Non è importante allargare, ma offrire una proposta solida e coesa», tuona l’avvocato.

LA VICENDA RENDE indubbiamente più difficile immaginare una coalizione che dal M5S arrivi fino a Calenda, obiettivo a cui Letta non ha ancora rinunciato (per non lasciare il leader di «Azione» al “centrino” di Renzi e Toti). Ma ora nel Pd, oltre ai dubbi sulla «tenuta psicologica» di Conte e sulla sua capacità di leadership («se ha paura anche in un collegio blindato come pensa di fare politica?», la battuta che circolava), crescono quelli sul guastatore.

«Caro Calenda, quando dovremo fare le candidature per i collegi uninominali come faremo? O uniti o si perde», twitta il coordinatore dei sindaci Pd Matteo Ricci. Già, «come faremo?» è la domanda che rimbalza in serata tra i dirigenti dem. Il capo di Azione non molla l’osso: «Caro Letta, prima di combinare un altro macello possiamo farci una telefonata? C’è un’ossessione del Pd a tenere in vita i 5 Stelle a qualsiasi costo che non mi spiego». Conte è furioso: «Se lui o altri vogliono farsi pubblicità sulle mie spalle, trovino un altro appiglio».

RESTA IL REBUS PER LA candidatura nel collegio Roma 1: il nome forte del Pd romano Enrico Gasbarra torna a prendere quota, ma al Nazareno -caduto Conte- resta la volontà di una candidatura femminile, che potrebbe essere quella di Cecilia D’Elia, coordinatrice delle donne. L’ex leader Cisl Anna Maria Furlan, stimata da Letta che l’ha chiamata tra i saggi delle agorà, non sembra trovare molti consensi nella coalizione che si è unita per sostenere Gualtieri sindaco. Ma per i dem trovare il nome non è più il primo problema. La priorità è costruire una coalizione nazionale unita e competitiva. Ad oggi c’è solo una maionese impazzita. Ma Letta non molla: «La mia bussola e il mio dovere è costruire il centrosinistra».