Nei giorni scorsi aveva detto a più riprese che la scelta di mettere la fiducia sulla legge elettorale sarebbe stato «un errore», che è sbagliato fare le riforme «a colpi di maggioranza». Lo ha scritto anche nel suo libro Andare insieme, andare lontano (edito da Mondadori e uscito da pochi giorni) in questi giorni bersaglio polemico di Renzi. Ieri Enrico Letta ha ’strappato’. Ha annunciato che non parteciperà ai voti di fiducia sull’Italicum. Lo ha fatto da Firenze, raggiunto al telefono dai cronisti mentre andava a trovare Giuseppe Giangrande, il poliziotto ferito il giorno del giuramento del suo governo, due anni fa esatti, cui ha dedicato il suo libro. Non risponderà all’appello, dunque, perché – lo ha poi spiegato in un tweet – in realtà lo «strappo» lo ha «voluto il governo», «le regole non si impongono e non si cambiano da soli». Al manifesto poi Letta sottolinea un’amara evidenza: «Se l’avesse fatto Berlusconi, di approvare le regole da solo e di blindarle con il voto di fiducia, saremmo scesi in piazza. E ora che queste forzature avvengono a casa nostra non si può far finta di niente e applicare la doppia morale».

E così con quello dell’ex presidente del consiglio ed ex vicesegretario del Pd arriva un altro no ’pesante’ alla fiducia, quasi sempre in abbianamento al successivo no al provvedimento. Ieri si è aggiunto a quello dell’ex segretario Pier Luigi Bersani, quello dell’ex candidato alle primarie ed ex presidente Pd Gianni Cuperlo, quello dell’ex presidente del Pd Rosy Bindi, quello del capogruppo dimissionario Roberto Speranza. La pattuglia dei dissenzienti, che nelle ultime ore sembrava assottigliata e di molto, ora veleggia intorno alla trentina di deputati. Oltre a Fassina, D’Attorre, Meloni, Leva, Monaco molto probabile la non partecipazione al voto di Lattuca, Galli, Gregori, Pollastrini, La Forgia, Agostini, De Maria. Ieri sera i deputati di Area Riformista si sono riuniti per decidere, lo stesso aveva fatto il meno folto gruppo dei cuperliani. In questo caso in molti voteranno le fiducie ma non il provvedimento.

Discorso a parte per Pippo Civati. Per lui, in caso di fiducia, il no era dato per scontato. Ma stavolta per l’ex candidato alle primarie la scelta può significare lo strappo anche con il Pd. Nei giorni scorsi ha confidato a qualche collega di provare a fare un nuovo gruppo «di sinistra repubblicana e costituzionale». Lunedì sera a Torino, in un dibattito con Nicola Fratoianni, ha ammesso di essere vicino al «tirare una riga». Ieri al programma radiofonico La Zanzara ha detto: «Se non vado via io, mi cacceranno loro. Ma preferisco andare via». Poi ha smentito che fosse l’annuncio dell’addio: «La Zanzara è una trasmissione ironica, ho solo detto che piuttosto che farmi cacciare me ne andrei prima io, ma non è questo il tema di oggi: il tema di oggi è la fiducia messa dal governo, che non darò, e il mio voto contrario all’Italicum»