La mossetta di Salvini, che ieri parlando con Avvenire si è detto pronto «a discutere per un testo condiviso contro l’omofobia, senza ideologia», non convince il Pd. Anzi, spinge Enrico Letta a procedere con la linea della conta nell’aula del Senato, che dovrebbe iniziare a esaminare la legge Zan il 13 luglio. «Il mio è lo stesso appello del Papa», si è lanciato ieri il leghista. «Se invece ognuno si chiude nel proprio recinto la legge non si approva».

«La nostra idea è di approvare il testo così com’è, contiene già tutte le garanzie», replica il leader Pd. «In parlamento ognuno dirà la sua. La Lega? Penso che non sia credibile quando chiede tavoli e confronti perché su questo tema ha semplicemente cercato di affossare tutto fin dall’inizio, di fare solo e soltanto ostruzionismo».

Fatto sta che il tavolo di confronto ci sarà, il 30 giugno, convocato ieri dal presidente della commissione Giustizia, il leghista Ostellari. Un tavolo dove Pd, M5S e sinistra aspettano che il centrodestra metta sul tavolo le proprie carte, rinunciando all’ostruzionismo. Salvini però non pare intenzionato a fare reali passi avanti. Cita infatti il disegno di legge di Licia Ronzulli, che non inserisce i crimini di omotransfobia nella legge Mancino, ma si limita ad aggiungere aggravanti generiche.

Una proposta che il centrosinistra ha già definito «irricevibile». In ogni caso, l’aula del Senato il 6 luglio voterà il calendario che prevede l’inizio dell’esame della legge il 13.
«Per noi il testo va bene così», dice Franco Mirabelli del Pd. «Ci siederemo al tavolo e andremo a vedere quali sono le proposte concrete che ci avanza il centrodestra per trovare una mediazione. È difficile pensare che arrivino proposte accoglibili, ma è giusto provarci».

Al Nazareno considerano i rilanci di Salvini «strumentali e finalizzati a far impantanare il provvedimento». Il Pd, più che alle mosse del leghista, guarda ai numeri dell’aula. E al partito di Matteo Renzi. L’ex rottamatore ieri ha ribadito che «in aula i numeri non ci sono, in particolare nei voti segreti» che dovrebbero essere una ventina.

Ma i dem rispondono, sempre con Mirabelli, ribadendo che se Italia viva manterrà la parola data (e il voto già dato alla Camera) i numeri ci sono anche senza un’intesa con Salvini e Meloni.
«Io penso che sui voti segreto rischiano di perdere più voti gli altri che noi…», aggiunge il senatore che guida il pd nella complicata commissione Giustizia. «C’è un parte significativa di Forza Italia, ma anche qualcuno della Lega, che sembra molto insofferente rispetto alle posizioni assunte dai rispettivi gruppi, e che proprio nei voti segreti potrebbe manifestarsi».

Renzi insiste, suggerendo «modifiche condivise» e poi «tempi certi» per il nuovo passaggio alla Camera. E accusa Letta: «La sua mi sembra una tattica, per acchiappare qualche like, speculare e opposta alla logica di Salvini. Prima non voleva alcuna modifica, poi dopo l’uscita del Vaticano si è ammorbidito. Mi è sembrato un atto di subalternità psicologica».

Si riaprono, dunque, anche formalmente, le ostilità di Renzi contro il leader Pd, finora tenute abilmente sotto traccia. E si fa sempre più palese la morsa in cui è stretto l’ex rottamatore: che da un lato vorrebbe dare a Letta un’altra coltellata, dall’altro sa che non può lasciare le impronte su un possibile fallimento della legge. «Italia Viva lo voterà, Renzi è stato chiaro», assicura Mirabelli.

Probabile che i renziani il 6 luglio votino con Pd, M5S e sinistra sullo sbarco in aula della legge. Poi iniziano le incognite.

Sabato tornano le mobilitazioni. A Roma in piazza Vittorio Emanuele Arcigay manifesta con le bandiere trans per difendere la tutela dell’identità di genere prevista dall’articolo 1 della legge, «un punto che non può essere messo in discussione». A Milano all’Arco della Pace si chiude la Pride Week. Ci sarà anche il sindaco Beppe Sala: «Questo è il momento di approvarla, se aspettiamo ancora un po’ la legge Zan diventa vecchia».