Quando Enrico Letta viene informato dell’incontro a sorpresa in corso tra Matteo Salvini e Giuseppe Conte l’irritazione trasuda. Il segretario del Pd sa perfettamente qual è il senso inequivocabile di quell’inatteso, imprevisto e non annunciato incontro: i due antichi soci del governo gialloverde stanno cercando di costruire insieme una diga anti-Draghi. Che i due fossero in contatto era noto, lo aveva fatto sapere lo stesso ex premier. Ma un incontro allo scoperto è un’altra cosa.

COSÌ ALLA VIGILIA DELLA PARTITA vera e propria le squadre in campo non sono più tanto la vecchia maggioranza di Conte da un lato e il centrodestra dall’altro, con Renzi e la galassia centrista in mezzo. Sono il partito di Draghi e quello che punta a impedirgli l’ingresso al Quirinale, anche se naturalmente nessuno la metterebbe mai così. Si tratta di «lasciarlo a palazzo Chigi dove sta facendo un ottimo lavoro», come preferisce metterla Salvini. Il significato non cambia.

L’OPERAZIONE, PER AVERE qualche possibilità di successo, richiede che ci sia un nome, e non uno qualsiasi ma tale da raccogliere i consensi dell’intera maggioranza. Perché mentre si avvia al tramonto la pazza impresa di Berlusconi, che formalizzerà il suo passo indietro di qui a domenica, riemerge la realtà che tutti sembravano aver dimenticato: senza un voto dell’intera maggioranza non è pensabile che governo e la legislatura vadano avanti. «Non abbiamo parlato di Draghi né fatto nomi», assicura l’avvocato del popolo. Credergli è impossibile. Le stesse fonti dei 5S dicono infatti che l’incontro serviva «a trovare un nome condiviso e a evitare una crisi di governo». Lo stesso Salvini, peraltro, ha ieri incontrato anche Maurizio Lupi e si è tenuto in contatto con i vari leader minori del centrodestra che «deve restare unito». E di cosa mai avrebbero parlato, se non di nomi?

IN EFFETTI LA ROSA DEL LEADER leghista deve per forza essere folta. Berlusconi non intende passare la mano facendo finta di niente. Salvini deve quindi prima di tutto trovare con lui e con Giorgia Meloni un’intesa da convalidare poi nel vertice che si sarebbe dovuto tenere ieri e che lo stesso Salvini convocherà invece di persona entro domenica, tanto per ribadire che il leader della coalizione è lui e a lui spettano le convocazioni. I due nomi che ha in mente sono entrambi inaccettabili non solo per l’ala sinistra della maggioranza ma anche per Berlusconi: Elisabetta Casellati e Letizia Moratti. Il Cavaliere non ha ancora avuto modo di bocciarli. Conte invece sì e lo avrebbe già fatto.

LE PROPOSTE CHE il leader dei 5S sarebbe disposto ad accettare sono meno proibitive: l’ex ministra nel governo Monti Paola Severino e l’ex ministro nel governo Berlusconi Franco Frattini. Il secondo è il nome che Salvini si tiene in serbo come carta più probabilmente vincente sin dall’inizio. Severino invece ha poche possibilità di essere accettata già da Fi, avendo firmato la legge che ha poi colpito alcuni eminenti parlamentari azzurri. Letta ieri è stato chiaro: chiede un nome «condiviso e non di parte, dunque non un nome di centrodestra», in serata la decisione diventa ufficiale: «Non voteremo un candidato di centrodestra».
Frattini dovrebbe dunque essere escluso mentre sempre secondo le voci dal Nazareno sulla Severino graverebbe l’ombra di possibili conflitti di interesse.

LETTA MIRA AL COLPO grosso. Sa che se nei prossimi tre giorni non emergerà una candidatura unitaria la convergenza su Draghi sarà inevitabile. Quindi cerca un’elezione ad ampia maggioranza già alla prima votazione, ipotesi che sembra irrealistica ma probabilmente non lo è. Tutto sta a trovare la quadra sul tavolo parallelo, quello del nuovo governo dopo l’eventuale nuova elezione di Draghi. Almeno in parte l’ostilità di Salvini dipende dai timori che desta quella vicenda: teme che Franceschini, nel Pd il più ostile a Draghi con il quale i rapporti sono da un po’ molto tesi, possa reclamare la guida del nuovo governo, provocando così un terremoto in casa leghista.

QUANTO AI 5S, IL PD è convinto che se saranno certi di non rischiare le elezioni subito molti contrari all’elezione di Draghi cambieranno idea, anche perché in quella direzione li spinge quanto di più simile a un leader ci sia nel Movimento allo sbando: Luigi Di Maio. Resta un’ultima incognita: la strada che sceglierà Berlusconi per deporre le armi. Sono infatti in molti, a partire da Gianni Letta, quelli che gli consigliano di bruciare alleati e avversari candidando ufficialmente Draghi.