«Abbiamo vinto troppo, e quando si vince troppo poi succede qualche casino…». Enrico Letta la battuta in battuta di buon mattino, parlando con Forrest su Radio1, ma la preoccupazione è fondata: il rischio di un replay dei progressisti del 1993, che si illusero di vincere le politiche dopo aver trionfato alle comunali, è dietro l’angolo. Anche perché le analisi del voto ricordano che non è stata chiamata al voto l’Italia profonda, quella della provincia che da tempo tende a destra.

LA STRATEGIA POLITICA del leader Pd – quella di un ampio fronte progressista- esce però confermata dal voto. «Mettere insieme Italia Viva e Calenda con il M5s? Siamo per le sfide impossibili, il nostro mantra è questo qua. Tom Cruise», scherza ancora Letta alla radio. Poi si fa più serio: «A Roma Gualtieri al secondo turno ha preso tanti voti di persone che avevano votato per Calenda e per Raggi. Alla fine il meccanismo del doppio turno ha funzionato, come quello di una coalizione larga. Siamo all’inizio ma ci lavoreremo».

Il neosindaco della capitale gli dà manforte: «Al ballottaggio c’è stata una capacità di allargamento. Un segnale che è possibile una grande alleanza democratica, progressista e europeista».

CARLO CALENDA, che al ballottaggio aveva votato Pd un po’ mesto, subito si rimette di traverso. «La lettura di queste ore del Pd “si vince mettendo tutto insieme” non mi convince affatto. Il dato delle elezioni è la scomparsa politica del M5S e la sconfitta della destra sovranista. Occorre rompere le alleanze con le forze anti sistema».

E ancora: «I 5 stelle, esattamente come Meloni e Salvini, sono inaffidabili nella gestione di governo. Il perno che va trovato è quello europeo, dove i popolari, cioè Forza Italia, i liberali, i verdi, e i socialdemocratici lavorano insieme». Il leader di Azione auspica una «sintesi» in primo luogo tra le forze liberali. Cioè tra lui, Renzi e +Europa. Richiesta condivisa dal segretario di + Europa Benedetto della Vedova.

«Per farlo occorre però essere netti sul rapporto tra politica e business/lobby», dice Calenda. E qui arriva la mazzata per Renzi: «Non si può stare con Miccichè e Cuffaro in Sicilia e con Fico a Napoli. Altrimenti non sei la versione italiana di Renew Europe ma la versione Toscana dell’Udeur».

NEL PD SONO PARTICOLARMENTE infastiditi dalle bizze di Calenda già all’indomani della vittoria. «Il campo del centrosinistra deve includere tutti i progressisti e i riformisti. Il M5S è dentro da quando è nato il governo Conte», taglia corto Francesco Boccia. «Lo dico a Calenda, se qualcuno non partecipa alla costruzione dell’unità si tira fuori da solo. È inaccettabile che qualcuno dica “se ci sono io non c’è un altro”».

SE RENZI VIENE GIÀ DATO per perso, e destinato, come ha detto Gianfranco Miccichè dopo una cena con l’ex rottamatore, ad «unirsi presto al centrodestra», su Calenda e sulla possibilità di una gamba liberale del centrosinistra i dem intendono lavorare ancora. Letta lo farà con pazienza, convinto che il governò andrà avanti ancora e che dunque ci sia tempo per radicare il nuovo Ulivo. In ogni caso, quello che conta per lui è che «gli elettorati hanno dimostrato che si possono sommare».

IERI PER LETTA È STATO il giorno del rientro a Montecitorio dopo sei anni dall’addio del 2015. Allora si dimise da parlamentare un anno dopo lo sfratto da palazzo Chigi, e lo fece in polemica con la scelta di Renzi di mettere la fiducia sulla legge elettorale (il defunto Italicum). Ieri i deputati dem lo hanno accolto con un lungo applauso in aula, tutti in piedi. «Sono emozionato, per me è il secondo primo giorno di scuola», ha detto ai cronisti. «Torno da deputato di Siena. È un onore, non provo nessun senso di rivalsa».

Come primi atti ha depositato una proposta di legge «sull’istituzione dell’Istituto italiano di Biotecnologie» a Siena e un’interrogazione per chiedere al governo il raddoppio della linea ferroviaria Siena-Poggibonsi. Da Montecitorio potrà gestire meglio le truppe per la battaglia del Quirinale a inizio 2022.