Non è bastata neppure la spinta di Romano Prodi, padre politico di Enrico Letta insieme a Nino Andreatta, a far virare il segretario del Pd verso la battaglia sui temi sociali. Tema quasi del tutto evitato domenica nel discorso di chiusura della festa di Bologna (tenuto al chiuso di un tendone, anche se il tempo era bello, invece del solito pratone), e pure ieri nella relazione alla direzione del partito.

«Se il Pd deciderà di spingere per una politica di forte rivendicazione dei diritti sociali, lavoro scuola, salute, case, i voti pioveranno», il rimprovero del Professore in una intervista alla Stampa. «Biden sta investendo sulle politiche sociali cifre impressionanti, oggi la paura vera della gente è quella del non cambiamento, ed è quella che ci può uccidere».

Letta invece da Bologna ha ripetuto l’obiettivo di portare a casa entro la fine della legislatura la legge Zan e quella sulla cittadinanza ai figli di immigrati. Possibile la prima (anche se il Pd è corresponsabile di aver rinviato il voto in Senato sullo Zan a metà ottobre). Inverosimile, finché resta un governo con dentro la Lega, il via libera allo ius soli. Tanto che lo stesso Letta la sera del 10 settembre alla festa di Sinistra italiana aveva detto che per realizzare questi obiettivi «serve una nostra vittoria elettorale chiara».

Il Pd resta quindi inchiodato all’«agenda Draghi». Il segretario ha ribadito l’auspicio che «questo governo duri fino al 2023» (la platea di Bologna non si è scaldata particolarmente). Su questa linea è tutta l’area degli ex renziani di Base riformista che vede in Draghi «il nostro governo», come ha detto sempre a Bologna Lorenzo Guerini.

Quanto a Goffredo Bettini, che negli ultimi giorni aveva evocato l’esigenza di porre fine a un governo di emergenza con tutti dentro, guardando alle elezioni, anche lui si è rimesso in linea, accogliendo l’appello di Letta a serrare le fila in vista delle elezioni comunali del 3 e 4 ottobre.

Appello che ieri Letta ha ribadito in direzione, rivolto in particolare agli ex renziani che avevano fatto circolare veline su un possibile congresso Pd prima delle politiche. «Concentriamoci sulle comunali, lo vorrei chiedere a tutti i dirigenti del partito. Remiamo tutti nella stessa direzione, usiamo parole che ci consentano di evitare malintesi, frizioni».

Per il leader Pd lo schema è chiaro: «Draghi deve restare fino al 2023, con lui l’Italia può giocare un ruolo chiave sulle regole del patto di stabilità e l’impegno a rendere permanente il Recovery». Un ruolo tanto più rilevante nei mesi dell’addio di Merkel e delle fibrillazioni elettorali in Francia. Di qui all’inizio del 2023 i lsegretario Pd si vuole dare il tempo per costruire la coalizione che possa sfidare Salvini e Meloni. «Le comunali sono una prova generale rispetto allo schema politico dei prossimi anni».

Lo schema è quello di un «nuovo bipolarismo», con la «destra estrema» contro l’asse centrosinistra- M5S. Senza vie di mezzo. O possibili tentazioni da terzo polo dei grillini. Rispetto all’inizio dell’estate, il vento dei sondaggi è cambiato, e ora per il centrosinistra appare verosimile una vittoria in 4 delle 5 principali città al voto, compresa Roma, e con la sola esclusione di Torino. Un risultato che metterebbe le ali al progetto di Letta.

Nonostante i continui scontri con le Lega, dalle misure anti Covid ai migranti, Letta non teme quello che Bettini ha definito il «logoramento» del governo e dunque anche della figura del premier. Né teme che sia lo stesso Draghi a stancarsi di una maggioranza rissosa e optare per il Quirinale. «La mia previsione è che l’anno prossimo non ci siano elezioni anticipate», ha ribadito ieri a un incontro pubblico con Giorgia Meloni. Durante il quale ha violato la moratoria da lui stesso invocata sul prossimo Capo dello Stato: «Sono favorevole a coinvolgere anche Fdi, a un voto che metta tutti insieme».