Enrico Letta ieri è rientrato a Roma da Parigi e ha confermato che oggi sceglierà la riserva. Ma con grande probabilità sarà lui il prossimo segretario del Pd, con il voto dell’assemblea di domenica. Appena atterrato ha riunito i suoi più stretti collaboratori, e ha ribadito quello che dirà all’assemblea nel caso in cui accettasse: che anche nel confronto duro delle idee serve «rispetto per la comunità del Pd», per gli elettori e i militanti. E che questa è una condizione «fondamentale» per poter guidare il partito.

Poi ha partecipato a due webinar, uno dell’Arel sulla politica economica di Biden. Ultimi impegni da professore prima del salto. Nel pomeriggio ha sentito di nuovo i big del Pd che gli hanno chiesto di lasciare l’università a rituffarsi nella politica: Nicola Zingaretti, Dario Franceschini e Andrea Orlando. Ma anche il ministro della difesa Lorenzo Guerini, capo degli ex renziani, i più freddi sul nuovo leader.

ZINGARETTI IERI È USCITO allo scoperto con una lunga lettera sui social in cui -oltre a definire il governo Draghi «un’ottima conclusione» della crisi- benedice Letta: «Sono convinto che sia la soluzione più forte e autorevole per prendere il testimone della segreteria. La sua forza e autorevolezza sono la migliore garanzia per un rilancio della nostra sfida di grande partito popolare, vicino alle persone e non alle polemiche».

Nella lettera, Zingaretti rivendica i risultati raggiunti sotto la sua guida, «il Pd è tornato politicamente centrale», e anche le ragioni delle improvvise dimissioni: «Non c’era una proposta politica alternativa, ma un lungo e strisciante lavorio distruttivo che stava allontanando il Pd dalla realtà. Rischiavamo di implodere, non si poteva andare avanti così. Era giusto fare chiarezza e richiedere una vera assunzione di responsabilità da parte di tutti. Non ho voluto essere di ostacolo a questo compito».

Poi ribadisce la necessità di un «congresso politico» (dunque senza primarie per il leader) per «ricostruire una nostra visione e progetto comune in un mondo totalmente cambiato». A chi lo aveva sostenuto dice: «Se serve darò sempre una mano, anche se in forma diversa. Io ci sarò».

UN MESSAGGIO CHE, in qualche modo, rassicura la truppa. Ieri Nicola Oddati ha coordinato una serie di riunioni con i delegati dell’area Zingaretti. Totale la fiducia in Letta ma «vogliamo dare seguito all’aspettativa di quel milione di persone che votò la mozione “Piazza Grande” e credeva in un partito nuovo e aperto, e spingere la nuova segreteria in quella direzione», spiegano fonti dell’area. Il concetto è chiaro: «Letta è il candidato della maggioranza che ha sostenuto Nicola, prosegue la battaglia per il rinnovamento del partito e arriverà fino al 2023», sintetizza Oddati.

LA MINORANZA EX RENZIANA (che oggi si riunirà) appare frastornata, timorosa che il ritorno di Letta possa essere rischioso. E che la sua leadership sia una mera continuazione di quella precedente. Il nome stesso è una nemesi per chi aveva accompagnato l’ascesa di Renzi al grido di #enricostaisereno. Ma non c’è l’idea di presentare un’altra candidatura: «Ci andremmo a sfracellare…», dicono alcuni parlamentari.

Marcucci spiega che quello eletto «sarà un segretario nel pieno delle funzioni», ma torna a chiedere un «congresso al più presto». Matteo Orfini resta sulle barricate: «L’arrivo di un nuovo segretario non può essere la ragione per impedire una discussione vera. Zingaretti fa il martire, ma se ne va perché ha fallito la linea politica costruita sull’accordo col M5S e alla piegatura nei confronti di Conte». Probabile che alla fine Letta avrà molti più voti dei 774 (su un totale di 1000) della ex maggioranza zingarettiana, quasi unanime.

IERI È SFUMATA ANCHE l’ipotesi di una candidatura femminile. Debora Serracchiani, che era stata indicata da un gruppo di donne, ringrazia e si sfila: «Credo che si debba raggiungere il massimo di unità intorno al segretario che voteremo domenica. Non ho remore a dire che ho apprezzato il lavoro che Letta ha fatto da premier». D’accordo anche Titti Di Salvo: «Conosco Enrico, mi aspetto si faccia interprete della questione femminile». Probabile la scelta di Roberta Pinotti (area Franceschini) come vicesegretaria.