Una vittoria di tutti, il Parlamento interpreta il sentimento del paese, grazie a Mattarella per la sua generosità». Enrico Letta gronda sollievo da tutti i pori. «Per noi Mattarella sarebbe il massimo, la soluzione ideale, perfetta», aveva detto in tv da Fazio il 23 gennaio, alla vigilia della prima votazione. Parole che gli consentono di uscire vincitore da una partita difficilissima, certamente la più dura da quando è leader del Pd.

ERA PARTITO CON IL 15% dei 1009 grandi elettori, ha portato a casa lo stesso presidente che il Pd, nel 2015, aveva eletto con circa il 50% dei votanti. E così ieri, come i vincitori di scuola Dc di una volta, è stato molto sobrio, tranne il vezzo di postare sui social la matita con cui ha votato. Con i parlamentari dem si è concesso una battuta: «Mi raccomando, dite che abbiamo aderito a una proposta di Salvini». In realtà questa “settimana santa” della politica per Letta poteva trasformarsi in un calvario: lui sentiva il dovere di favorire il trasloco di Draghi fino all’ultimo momento, un pezzo di partito (Franceschini e non solo), tifava per Casini, un altro pezzo (il gruppo di Orfini e tanti cani sciolti) si era convinto che da subito bisognava votare Mattarella, anche quando dal Nazareno arrivava l’ordine di fare scheda bianca.

I RAPPORTI CON CONTE sono arrivati al punto di rottura più di una volta, con l’avvocato che giurava lealtà ai giallorossi e poi trescava con Salvini. Fino all’ultima curva. «Mi fido ancora di Conte, in questi giorni ci siamo conosciuti meglio e abbiamo affinato la capacità di collaborazione», ha spiegato ieri Letta in conferenza stampa, prima di un pubblico abbraccio con il capo 5S. Certo, c’è stato anche un inatteso asse con Renzi che ha permesso di stoppare Casellati e le manovre gialloverdi su Frattini e , da ultimo, la fuga in avanti di Conte e Salvini su Elisabetta Belloni. «Sì, ci sono state frizioni anche nella nostra coalizione, venerdì sera anche un cortocircuito mediatico. Ma oggi è stato tutto sufficientemente chiarito». Il succo è che «il campo largo progressista nei passaggi cruciali ha tenuto, grazie a un «paziente lavoro di collante». Elogi anche ai dem, «ha vinto il gioco di squadra, siamo un grande partito». Con Conte però una crepa si è aperta. E al Nazareno non fanno mistero del «fastidio per una comunicazione spregiudicata» che ha rischiato di fare molti danni.

IL LEADER PD, CHE PER GIORNI è stato descritto come l’ultimo giapponese pro-Draghi, ha confessato: «Questa soluzione è migliore rispetto al passaggio del premier al Colle. Viste le difficoltà di questi giorni, non so se saremmo riusciti a trovare un nuovo premier». E comunque «un altro governo sarebbe stato più debole di quello attuale». E se ci fosse stato un nuovo presidente della Repubblica, diverso da Mattarella, «ci sarebbe voluto tempo per costruire un rapporto con Draghi, non avrebbe funzionato come il rapporto che c’è tra gli attuali inquilini del Colle e di palazzo Chigi».

IL GOVERNO «ESCE RAFFORZATO» da questa vicenda, e così anche la maggioranza «con minore voglia di marcare il territorio o di tirare gomitate». Niente rimpasti, dunque, «il governo va bene così». Certo, in questa sfida «è cambiata la geografia politica del centrodestra che si è diviso in tronconi e questo cambiamento dovrà essere interpretato da noi». Tradotto vuol dire aprire un «canale di dialogo proficuo» con la galassia centrista, compresa Forza Italia. E di qui la rivelazione della telefonata di venerdì notte con Berlusconi, «gli ho detto che mi è dispiaciuto aver ecceduto nei toni, ma questa è la politica». E del resto l’asse con i forzisti (liberati dal giogo leghista) è stato fondamentale per arrivare all’accordo di ieri mattina su Mattarella. Se è vero che Renzi, che pure si è intestato il risultato finale («Scelta eccellente, il paese è in sicurezza»), fino all’ultimo minuto ha cercato di mandare avanti Casini.

E COSÌ ANCHE FRANCESCHINI, grande sponsor dell’ex leader Udc, ha deposto le armi: «Ecco the winner»!, ha detto a Letta incrociandolo alla Camera. Quanto alla trattativa, Letta ribadisce che su Belloni non c’era alcun accordo chiuso, quando Conte e Salvini si sono presentati alle tv. Il leader Pd aveva chiaro fin da venerdì, dopo che dal solo centrodestra erano arrivati 46 voti per Mattarella nello scrutinio che aveva bruciato Casellati, che l’aria stava cambiando. «Un po’ come nel gioco del ponte di Pisa (un palio storico, ndr), a un certo punto il carrello pende da una parte e non lo fermi più..».