Sono passate da poco le sei, Enrico Letta è al Quirinale con il presidente Napolitano, la ministra Cancellieri e i presidenti delle camere Grasso e Boldrini per il giuramento di Giuliano Amato, nuovo giudice della Consulta. Fra i tre – Letta, Napolitano e Amato – c’è un’antica consonanza di vedute. È qui che il premier scambia le prime riservatissime impressioni sul videomessaggio di Berlusconi, visto in differita dopo la cerimonia del giuramento. Da Palazzo Chigi non arriva nessuna reazione ufficiale. «Continuiamo a lavorare sulle cose che ci competono», dicono i collaboratori del premier. Lo stesso concetto  filtra dal Colle. Letta però una cosa la dice. Inequivocabile, gelida: «Da capo del governo, ribadisco il pieno rispetto per il lavoro e l’autonomia della magistratura».

Il premier non cambia di una virgola l’agenda dei suoi prossimi impegni. Oggi è convocato un consiglio dei ministri sul piano «Destinazione Italia», il pacchetto di incentivi per l’attrazione degli investimenti esteri. Domani verrà convocata una nuova riunione dei ministri sulla nota aggiuntiva al Def. Su questo tavolo si testerà l’atteggiamento dei ministri Pdl. Poi, la prossima settimana, il premier volerà in Canada e negli Usa. Il viaggio resta in agenda. Come tutti gli impegni programmati: «La vera sfida», spiega il premier ai suoi, «è la legge di stabilità». È lì che verranno incardinate le «politiche» e, di fatto, il lavoro che il governo dovrà svolgere lungo tutto il 2014.

Intanto al Nazareno, la sede del Pd, la riunione dei saggi sulle regole del congresso è convocata alle sei. Ma a quell’ora i democratici sono tutti incollati al videomessaggio. Subito dopo Guglielmo Epifani diffonde la reazione ufficiale del partito. Toni durissimi: dichiarazioni «sconcertanti per i toni da guerra fredda usati, offensivi nei confronti del centrosinistra». E nei confronti della magistratura: «Attacchi irricevibili», «si corre il rischio di aggravare i problemi». Berlusconi è «irresponsabile», in piena crisi economica «getta benzina sul fuoco». «Da oggi si assumerà le responsabilità di quello che potrà accadere al governo».

In realtà nelle stanze democratiche si respira aria da scampato pericolo. Berlusconi usa toni emotivi, incita i suoi a «scendere in campo», alla «ribellione», («messaggio assurdo e reticente», si sdegna il segretario Pd). Il Cavaliere è già in campagna elettorale. Ma non toglie l’appoggio al governo, per ora. Certo, Letta è avvertito: «I nostri ministri fermeranno bombardamento fiscale».
Eppure le frasi di Berlusconi non tranquillizzano del tutto la squadra governativa dem. «Parole disperate, quindi preoccupanti», riflette un graduato Pd. L’attacco del Pdl al ministro Saccomanni sull’Iva può trasformarsi in qualcosa di più di una guerriglia. Il Cavaliere sa che, nel caso, non è sui suoi guai giudiziari che potrà aprire la crisi. Sulle tasse, invece, sì. E l’ambiguo «i nostri ministri fermeranno il bombardamento fiscale» lascia ancora aperta l’eventualità.

Ma è solo «una messinscena», è sicuro Gennaro Migliore di Sel. È l’interpretazione che circola fra i banchi dell’ex centrosinistra. Il Pd torna alle faccende del congresso. Al Nazareno i saggi fanno notte e si riconvocano per stamattina. Ma l’accordo con Renzi c’è. Lo scontro con i bersaniani sulle regole finisce win-win, cioè pari: i congressi locali si celebreranno prima delle primarie, l’elezione dei segretari regionali dopo. In mezzo, a dicembre, c’è la vittoria di Renzi. Che non sarà automaticamente il candidato premier, quando sarà: tanto per ora non ha nessuno sfidante.