Si fida di Berlusconi? A questa domanda della televisione pubblica austriaca (da ieri sera è in visita a Vienna), Enrico Letta ha dato una risposta di prevedibile ottimismo: «Mi fido del fatto che il partito di Berlusconi assumerà le sue decisioni e se ne prenderà la responsabilità». Ma alla domanda successiva, in cui si chiedeva a Letta se il suo governo sopravviverà al voto in giunta sulla decadenza del senatore Berlusconi, il presidente del Consiglio italiano ha dato una risposta meno scontata: «Il mio è un governo parlamentare di grande coalizione – ha ricordato Letta – e deve la sua fiducia al presidente della Repubblica e al parlamento. Lavorerà finché avrà la fiducia del presidente della Repubblica e del parlamento». Dov’è importante che il riferimento del premier non vada più alla sua maggioranza, ma al parlamento tutto e alle scelte del Quirinale, quasi a prefigurare una possibile sopravvivenza dell’esecutivo anche nel caso in cui Berlusconi decidesse di aprire la crisi e sfilare il suo partito. O tutti quelli che del suo partito lo seguiranno.

All’ombra del capo asserragliato ad Arcore, quasi in un anticipo di arresti domiciliari, l’atmosfera nel Pdl è quella dei lunghi coltelli. Il ministro Lupi spiega che le dimissioni dei ministri berlusconiani in caso di voto in giunta favorevole alla decadenza di Berlusconi non sarebbero automatiche: bisognerebbe discuterne. Daniela Santanchè non si trattiene dall’attacco quotidiano alla fazione delle «colombe» anzi passa agli insulti, accusando i moderati del Pdl di «prendere ordini da Napolitano». Tra i dirigenti del Pdl passa l’ordine di scuderia di indicare come soluzione possibile il ricorso alla Corte Costituzionale. La giunta del senato, vale a dire, dovrebbe sottoporre alla Consulta la legge Severino sull’incandidabilità. E non si vede come, dal momento che il ricorso «incidentale» sulla legittimità di una legge può essere proposto alla Corte solo da un tribunale nel corso di un giudizio. Ma quel che conta è che Berlusconi va salvato, o almeno non dichiarato decaduto velocemente dalla giunta. Ed ecco che le colombe del Pdl, quelli che vorrebbero recuperare altro tempo in attesa di un possibile intervento del Colle favorevole al Cavaliere, raccomandano a gran voce al senato di rimandare ogni decisione. Di un mese, meglio due o tre. La giunta, è la metafora inaugurata da Cicchitto e ripresa dal ministro (delle riforme!) Quagliariello, non deve trasformarsi «in un plotone d’esecuzione». Vale a dire che non dovrebbe prendere la strada semplice dell’applicazione della legge (la Severino) che il Pdl ha votato con il Pd solo pochi mesi fa, ma tirare in ballo la Consulta.

A tutto questo Letta risponde ostentando un ottimismo obbligato. Ma anche citando quella «fiducia del presidente della Repubblica» che costituzionalmente non si capisce, ma chepoliticamente è facilmente leggibile come un avvertimento al Pdl: se fate la crisi non sperate nelle elezioni anticipate, le decisioni le prenderà Napolitano.
Un aiuto al governo italiano è arrivato ieri dal presidente del parlamento europeo Martin Schulz, il socialista protagonista di un memorabile scontro con Berlusconi a Bruxelles, secondo il quale «non credo che convenga al vostro paese una crisi di governo. L’Italia sta emergendo dalla crisi, c’è molto da fare anche se il peggio è dietro di noi».