Nonostante i pubblici elogi rivolti al «Pd compatto» e al «gioco di squadra», Enrico Letta porta ancora su di è le cicatrici dopo la giostra del Quirinale. Sa di essere sopravvissuto a un girone infernale, in cui il suo stesso scalpo (politico) ha rischiato grosso. Depositate le polveri, ha messo a fuoco in modo ancora più nitido che attorno alla candidatura di Casini si erano coagulati parti di Pd (nel mirino non solo Franceschini ma anche l’area di Orlando) che puntavano a indebolirlo, se non a spingerlo alle dimissioni, con l’obiettivo di sottrargli il potere assoluto sulle liste delle prossime politiche «rimettendo il partito nelle mani delle correnti», come prima delle dimissioni di Zingaretti.

Ecco, a giudizio del segretario l’operazione è fallita. Anche perché «nei giorni del Quirinale intorno a noi si sono stretti in tanti, provenienti da tutte le anime dem», il ragionamento che si fa ai piani alti del Nazareno. I più apprezzati sono la capogruppo alla Camera Debora Serracchiani, il vicesegretario Peppe Provenzano, Walter Verini, Emanuele Fiano. «Il loro lavoro dentro i gruppi parlamentari è stato decisivo per arrivare al risultato», il ragionamento che viene fatto. Così come viene molto apprezzato l’atteggiamento di Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia Romagna, per mesi considerato dall’ala ex renziana un potenziale sfidante al congresso prima di Zingaretti e poi dello stesso Letta. E invece no: l’asse con Bonaccini, in piedi di mesi, esce rafforzato dalla sfida del Quirinale. Grazie anche a questo patto di non belligeranza con l’emiliano, nella testa di Letta si è infilato un pensiero: l’idea di un congresso prima delle politiche del 2023, per arrivare alle elezioni forte di una investitura dal basso.

Mossa che gli viene consigliata da varie e diverse anime del partito, non solo dalla sinistra. «Non è all’ordine del giorno», ribadisce Letta ai suoi interlocutori, «ma non possiamo escluderlo». Il messaggio è semplice: se le correnti dovessero iniziare a logorarlo, dopo che lui ha vinto le comunali e anche la partita del Colle, l’arma del congresso potrebbe essere messa sul tavolo. E proprio nel momento in cui all’orizzonte non si intravede alcun competitor in grado di poterlo impensierire. «Siamo l’unico partito la cui leadership esce solida dalla giostra della scorsa settimana», il concetto che circola tra i fedelissimi del segretario. Sempre più convinto che il Pd che uscirà dalle prossime elezioni sarà modellato da lui. Scavallata la battaglia del Quirinale, «chi nei gruppi parlamentari pensa di sabotare Enrico ha le armi spuntate», spiegano. Il concetto è semplice: io non voglio strafare, ma voi dovete stare zitti e buoni, come recita l’adagio dei Maneskin.

Letta si prepara anche ad affrontare l’onda che sta montando nel Pd per il proporzionale, sistema da lui mai amato. «Niente veti», annuncia il cambio di linea, «se ci saranno le condizioni per cambiare il Rosatellum il Pd farà la sua parte». Con il primo obiettivo di far scegliere i parlamentari dai cittadini: con i collegi (meglio), e in subordine con le preferenze.

E del resto, al netto dei pubblici abbracci con Conte e delle parole non abrasive di Letta («Ci sono state frizioni ma ci siamo chiariti»), il leader Pd è uscito dalla settimana di passione consapevole che con il M5S, o con quello che ne resterà dopo la faida Conte-Di Maio, è necessario coltivare buoni rapporti, ma forse è meglio non impiccarsi ad una alleanza pre-elettorale.
Questo non significa archiviare il campo progressista, semmai essere più duttili nel caso in cui le camere riuscissero ad approvare una legge proporzionale. Quanto alle presunte aperture a Renzi e Forza Italia, Letta sorride:

«Fi si è autonomizzata da Lega e Meloni, ma sta ancora nel campo di centrodestra. Pensare che facciano parte del campo progressista è una sciocchezza». Lo stesso vale per Renzi, con cui Letta ha collaborato per stoppare Frattini e Casellati, ma che resta sempre quello di “staisereno”. «Era lui il regista dell’operazione Casini che puntava a disarcionare Enrico», il commento gelido che arriva dal cerchio stretto di Letta. Da dove arriva un invito alla cautela su scenari futuri: «La polvere del Quirinale non si è ancora depositata, tutti i leader di partito sono sotto botta, la situazione è fluida, prematuro parlare di alleanze». Di certo, il Pd si prepara a fare da solo. Magari assorbendo nelle sue liste i tanti cespugli di sinistra, da Articolo 1 agli ecologisti.