La sceneggiatura del primo incontro tra l’ex presidente del consiglio che oggi guida il Pd e l’ex presidente del consiglio che avrà presto in mano il timone del M5S era scritta da prima ancora che fosse deciso l’appuntamento di ieri nella sede della Arel, l’agenzia fondata dal padre politico di Enrico Letta, Beniamino Andreatta, nella quale il medesimo è cresciuto.

Non poteva che essere «molto positivo», cordiale, propositivo. Non poteva che preludere alla «apertura di un cantiere dove prevarrà il dialogo», come illustra Conte. Il collega almeno è più originale e forse autoironico: «Siamo due ex che si sono buttati contemporaneamente in una affascinante nuova avventura». Oltre al titolo di ex, del resto, ad accomunare i due c’è anche il fatto di essere diventati tali per mano della stessa persona.

MA SOPRATTUTTO LETTA e Conte sanno di non poter fare a meno l’uno dell’altro. L’intesa non è una opzione ma un obbligo e quanto agli ostacoli, che pure ci sono, sono vicini ma non incombenti e i due si conoscono ancora troppo poco per affrontare nodi aggrovigliati come la legge elettorale, le amministrative o l’elezione del prossimo capo dello Stato. Si erano visti due volte in precedenza, nel 2019 in Vietnam, nel 2020 in Spagna, ma non si può certo parlare di vera dimestichezza.

Dunque affrontano un po’ tutta l’agenda, ma solo in una prima ricognizione. Il solo risultato, ed è già più di quanto ci si potesse attendere, è dunque proprio «il cantiere». Fuor di abusata metafora, l’impegno a vedersi con regolarità, e a risolvere ogni problema. A partire da quello, prevedibile e previsto, delle prossime amministrative. Perché i due convengono sul fatto che sarà quello il banco di prova delle successive elezioni politiche.

IERI, ALL’ATTO di inaugurare il cantiere, i due non si sono addentrati nello specifico, ma di problemi ce ne sono ovunque: a Torino, dove il candidato latita, a Napoli, dove l’accordo su Fico deve fare i conti con il no del governatore De Luca, in Calabria. Ma soprattutto a Roma: il vero nodo che può diventare scorsoio è quello. Difficile immaginare un ginepraio peggiore, perché la formula per cui basta andare divisi al primo turno e poi convergere a sostegno di chi arriva al ballottaggio contro la destra è illusoria e altrettanto inefficace sarebbe affidarsi alle primarie di coalizione, per evitare almeno di presentarsi divisi in nome dell’unità trovata.

Il guaio è che i sondaggi danno vincente Virginia Raggi nello scontro con tutti i papabili del Pd tranne uno, e per i dem non arrivare al ballottaggio nella Capitale sarebbe rovinoso. Anche perché significherebbe imboccare la china di una sconfitta secca nella «competizione interna» con i 5S di Conte alle politiche. La segreteria Letta non sopravviverebbe.

LA VIA D’USCITA sarebbe quell’unico nome in grado di sconfiggere la sindaca uscente nel campo non tanto largo del centrosinistra, quello dell’ex segretario Zingaretti. Il presidente del Lazio ce la farebbe ma la sua vittoria suonerebbe come sconfitta secca non di un’alleata-competitor ma di una rivale acerrima, dopo anni passati a bersagliare la giunta Raggi con giudizi da corte marziale.

Gli ingegneri del Nazareno sono al lavoro per trovare una via d’uscita dal vicolo cieco, almeno sulla carta: convincere Zingaretti a correre, strappare alla sindaca uscente un passo indietro, rabbonire i 5S promettendo la Regione a una di loro, Lombardi o Taverna. Molto più facile a dirsi che a farsi. Per ora sono fantasie. Un elemento concreto però l’incontro di ieri lo ha partorito: il modello indicato da Letta subito prima di essere eletto, centrosinistra alleato con i 5S, è già quasi sfumato. La coalizione sarà quella che sosteneva Conte, e non è affatto la stessa cosa.

IN COMPENSO il neosegretario ha risolto la grana dei capigruppo. Al Senato anche Marcucci si è rassegnato e ha candidato per la successione Simona Malpezzi, anche lei di Base riformista ma considerata più mediatrice e che sarà quindi votata oggi da tutti. Alla Camera invece è passata in pole position Debora Serracchiani, avanti ora di qualche posizione rispetto a Marianna Madia. La decisione verrà presa oggi ma probabilmente per l’elezione formale bisognerà attendere martedì prossimo.