La crescita è vicina. Non tarpate le ali al governo. Lasciatelo arrivare alla terra promessa «perché sarebbe paradossale farlo cadere adesso». Nella speranza che la luce in fondo al tunnel non sia quella di un treno, il tono messianico usato ieri da Enrico Letta nel vertice con il cancelliere austriaco Faymann rivela una fiducia nel futuro ai limiti della disperazione. L’asso che Letta intende giocare sono gli otto miliardi che l’Italia potrà destinare al rilancio delle infrastrutture e alle politiche sull’occupazione annunciate nella legge di stabilità per il 2014. Un tesoretto conquistato grazie al rapporto deficit/Pil sotto il 3% nel 2013. A Palazzo Chigi incrociano le dita e sperano che nel 2014 il rapporto non superi il livello del lecito, rischiando una nuova procedura d’infrazione da parte dell’Unione Europea. In vista del semestre italiano di presidenza Ue (giugno-dicembre 2014), utile sponda per rallegrare il volto cianotico di un governo appeso alle sorti del condannato Berlusconi, Letta punta sui 100 miliardi di euro che dovrebbero essere distribuiti dall’accordo tra la Commissione Ue e la Banca d’investimento europea (Bei). Il via libera dovrebbe arrivare a gennaio 2014.

Se la crescita è una terra promessa, l’Unione Europea è la stella cometa. Tiepida illusione. Ammesso che la crescita arrivi a fine anno, quello che è certo è che non produrrà nuova occupazione (giovanile). Tutti lo sanno, ma Letta continua ad alzare cortine fumogene. Sbandiera i 54 miliardi dei fondi per la coesione territoriale e quelli per la politica agricola che saranno assegnati al nostro paese dal bilancio europeo in votazione il 10 settembre. In questo oceano c’è la goccia da 1,5 miliardi della «garanzia giovani» che il governo userà per finanziare uno stage o tirocinio a giovani disoccupati entro 4 mesi dalla laurea. Rimedi omeopatici che non risolvono il vero problema: il crollo della domanda di lavoro, la svalorizzazione dei saperi e delle competenze, la deregolamentazione inarrestabile dei rapporti di lavoro.

Letta spera che le acque dell’austerità si allarghino al suo passaggio. Ma il naufragio è sempre possibile sul fronte interno. Sull’Imu, innanzitutto. Stamattina alle 8 i tecnici del Tesoro torneranno a riunirsi per risolvere il rebus. La strada è quella indicata ieri dal viceministro Baretta: abolizione della prima rata della tassa sulla prima casa entro la mezzanotte del 31 agosto, introduzione della «Service Tax» che accorpa la Tares e l’ex Imu. Costo: 2,426 miliardi di euro. L’abolizione dell’Imu comporta una perdita del gettito fiscale e una riduzione delle entrate comunali. I comuni saranno costretti ad aumentare altre tasse a meno che il Mef compensi con la metà del gettito riscosso nel 2012. Baretta ha assicurato che questa operazione non è «un giro di valzer» e che la «service tax» non è semplicemente la somma tra l’Imu e la Tares rimodulate. «Ci sarà una riduzione del peso fiscale sui cittadini, non è una presa in giro». Il problema è che qualcuno dovrà pagare la giravolta berlusconiana sul fisco. Se non saranno i proprietari, allora saranno gli inquilini. Il governo lo esclude, ma i comuni avvertono: «Niente gioco delle tre carte».

C’è poi tutta la partita anti-casta delle «pensioni d’oro». Valida è la proposta di Giuliano Amato: un «contributo di solidarietà» a carico dei pensionati extra-lusso con doppio e triplo lavoro. Lo ha confermato il sottosegretario al Lavoro Carlo Dell’Aringa. Il governo sta verificando la differenza tra quanto percepito sulla base del sistema retributivo e il contributivo. Il gettito così ottenuto potrebbe essere usato per le pensioni più basse. In arrivo anche un provvedimento sugli esodati. Il ministro del lavoro Giovannini parla di «20-30 mila», Dell’Aringa di «10-15 mila». In attesa dell’accertamento del numero esatto, e dei costi che sono ancora allo studio, il guaio creato dalla riforma Fornero dovrebbe essere risolto «senza aggravio per il bilancio pubblico».

Per il momento restano incerte le risorse per il taglio del costo del lavoro, lo stop all’Iva, i soldi per la Cig. Di certo non verranno da una manovra correttiva, come ha ribadito ieri Giovannini. Verso la terra promessa si procede ad occhi chiusi. La strategia è quella del training autogeno: credere che il governo abbia almeno 18 mesi di vita e le elezioni tedesche portino ad una «grande coalizione». Si spiega così anche il «decreto del fare 2» annunciato dal ministro dello sviluppo Zanonato: taglio alle bollette elettriche, bonus per la riconversione dei siti a rischio ambientale; revisione del sistema di tracciabilità dei rifiuti richiesto da Confindustria.