«È una società privata e siamo in un mercato europeo». Martedì prossimo, al ritorno dal viaggio in America, Enrico Letta si preoccuperà di riferire al parlamento sul passaggio di Telecom sotto il controllo della spagnola Telefónica. Ma da New York, in dieci parole, ha già chiarito l’intenzione del governo: lasciar fare. Del resto il presidente del Consiglio è in viaggio all’estero (fino a giovedì) esattamente per promuovere gli investimenti stranieri nel nostro paese, prima tappa del road-show enfaticamente denominato «Destinazione Italia» con il quale si vogliono presentare al mondo le agevolazioni studiate dall’esecutivo per attrarre capitali qui da noi.

Agevolazioni di cui evidentemente Telefónica non ha avuto bisogno per allargarsi in Telecom: la società spagnola è fortemente indebitata ma è interessata ad acquisire quote di mercato in America latina. Ce n’è abbastanza per far temere impatti pesanti sull’occupazione (italiana), ma c’è da aggiungere tutto il capitolo «strategico», incentrato sul fatto che nel corpaccione di Telecom c’è ancora la proprietà della rete, mai scorporata e dunque in procinto di passare in mani straniere. E Telecom è solo una voce del capitolo made in Italy in fuga, visto che contemporaneamente stanno prendendo il volo Alitalia (destinazione franco-olandese) e pezzi pregiati dell’Ansaldo (in questo caso le destinazioni favorite vanno dalla Corea al Giappone). Letta riferirà, ma arriverà secondo visto che proprio questa mattina il presidente di Telecom Franco Bernabè, considerato un avversario dell’accordo trovato da Generali, Intesa e Mediobanca con gli spagnoli, è atteso dagli uffici di presidenza delle commissioni ottava e undicesima della camera per un’audizione «sulle prospettive del gruppo Telecom». Che a questo punto andrebbero chieste al gran capo di Telefónica Cesar Alierta.

Pd e Pdl reagiscono allo scacco spagnolo col tempismo del giorno dopo. Un po’ si rimpallano le accuse, un po’ chiedono a Letta di fare qualcosa; non manca chi di fronte alla perdita del controllo della rete teme per la sicurezza nazionale. Ma Letta si imposta sul basso profilo: il governo, certo, «vigilerà sui profili occupazionali e sugli aspetti strategici» ma «capitali europei potrebbero aiutare Telecom a essere migliore rispetto a com’è stata in questi 15 anni». Ammesso che i capitali ci siano davvero, le parole di Letta alludono alla fallimentare privatizzazione dell’azienda telefonica di stato. Un passaggio del ’97 che però è rimasto sempre in secondo piano rispetto alla successiva acquisizione della società da parte di Colaninno e Gnutti. D’Alema, succeduto a Prodi a palazzo Chigi, ne fu lo sponsor più celebre, avendo rinunciato il governo di allora a esercitare il potere di veto sull’offerta pubblica dei «capitani coraggiosi». L’ex premier ieri si è dovuto difendere dagli attacchi soprattutto di Grillo (che ha invocato contro di lui una commissione d’inchiesta). E lo ha fatto con poca eleganza girando le responsabilità sull’allora ministro del tesoro Ciampi, grande tessitore della svendita del patrimonio italiano negli anni Novanta. Ma, ha aggiunto D’Alema, «è del tutto ridicolo far discendere le difficoltà di oggi da una vicenda che risale a ormai quasi 15 anni fa e dopo la quale Telecom ha vissuto complesse e infinite vicissitudini», riassumibili dal nome di Marco Tronchetti Provera, «capitano» questo di tutt’altra parte politica.

Alla linea della prudenza su Telecom, così simile a quella del rinvio alla quale il governo si ispira in tutto il resto, aderisce il ministro Zanonato, secondo il quale «è dura sostenere che Telecom diventerà spagnola», visto che la partecipazione di Telefonica si fermerà a un quarto del capitale, quota però di controllo. E non si può negare il valore simbolico di un’acquisizione spagnola in Italia. Dagli spread alla crescita, Madrid ha smesso di rappresentare la garanzia per l’Italia che qualcuno sta peggio di noi. Proprio nel giorno in cui si è avuta conferma dell’espansione industriale spagnola ai danni della nostra azienda telefonica, ecco che il rapporto sulla competitività in Europa che oggi presenta la Commissione europea (anticipato ieri dal Sole 24 ore) boccia inesorabilmente il nostro paese mentre promuove gli iberici. Il rapporto (preparato dagli uffici del commissario all’industria che è l’italiano del Pdl Antonio Tajani) confina il nostro paese nel gruppo arretrato assieme a Cipro, Grecia, Malta, Portogallo e Slovenia, ma innalza la Spagna al gruppo di testa assieme ai principali paesi europei. In più per l’Italia parla di «vera e propria de-industrializzazione» posto che negli ultimi cinque anni abbiamo perso qualcosa come venti punti percentuali nell’indice della produzione industriale. La colpa, secondo la Commissione Ue, è soprattutto dell’alto costo della mano d’opera, il famoso «cuneo fiscale» che il governo Letta vorrebbe abbattere nella prossima legge di stabilità. Ma servirebbero le risorse destinate invece a cancellare la tassa sulla prima casa, anche ai ricchi.