«L’esercito federale ha il pieno controllo di Makallè», ha annunciato ieri sera il premier etiope Abiy Ahmed, che ha poi ringraziato chi nel Tigray «ha fatto del suo meglio per sostenere le forze di difesa etiopi, accelerando la sconfitta del Tplf». Ora – ha proseguito – «faremo tutto il possibile per aiutare la gente del Tigray a tornare alla vita normale».

Abiy ha dunque chiesto alla comunità internazionale di «unirsi alla ricostruzione per dare alla gente l’assistenza umanitaria e la sicurezza che merita». Intanto «la polizia federale continuerà nella ricerca dei criminali del Tplf e li porterà davanti alla giustizia».

 

 

LA GUERRA IN TIGRAY RUOTA intorno all’arresto di 64 persone, la cricca – come la definisce Abiy – che dirige Il Fronte popolare di liberazione del Tigray (Tplf). Tutti veterani di guerra ed esperti di guerriglia, quella che per 17 anni (dal 1975 al 1991) hanno condotto per abbattere il regime del Derg. È improbabile che si trovino ancora a Makallè, ma si saranno già sparpagliati sulle montagne perché «sanno di non avere possibilità in una guerra convenzionale», come spiega il Professor Awet Weldemichael della Queens University.

Le forze federali sarebbero avanzate intorno alla capitale tigrina, prendendo secondo quanto dichiarato dal generale Hassan Ibrahim la cittadina di Wikro, a 50 km da Makallè. Ma i dettagli dei combattimenti sono difficili da confermare perché tutte le comunicazioni telefoniche e internet sono interrotte.

Intanto Makallè (500.000 abitanti) sarebbe finita sotto «pesanti bombardamenti», come dichiarava alla Reuters il leader del Tplf Debretsion Gebremichael. L’artiglieria avrebbe colpito anche il centro della città. «Lo stato regionale del Tigray chiede a tutti coloro che hanno la coscienza pulita, inclusa la comunità internazionale, di condannare gli attacchi di aerei e i massacri che vengono commessi». Tuttavia, Billene Seyoum, portavoce del governo, rispondeva che «l’esercito etiope non ha come missione bombardare la propria città e il proprio popolo». La rete televisiva Ethiopian Broadcasting Corporation, ha comunicato che le forze federali hanno identificato i principali nascondigli del Tplf in città, tra i quali un auditorium e un museo. Gli aerei del governo hanno lanciato volantini avvertendo gli abitanti di stare lontano dai luoghi identificati come pericolosi.

Sul piano diplomatico il premier etiope ha incontrato i mediatori designati dall’Unione africana – tre ex presidenti, Ellen Johnson-Sirleaf (Liberia), Joaquim Chissano (Mozambico) e Kgalema Motlanthe (Sudafrica). «Ricevere la saggezza e i consigli di rispettati anziani africani è per noi un dono di grande valore» ha dichiarato Abiy (tuttavia, i mediatori non potranno recarsi nel Tigray), dicendosi disposto a parlare con i rappresentanti del Tplf, ma solo quelli «che operano nel rispetto della legge».

Troppo poco per l’Unione africana che ha proprio sede ad Addis Abeba soprattutto nell’anno in cui i Paesi africani hanno deciso di svolgere un ruolo più attivo nella risoluzione dei conflitti del continente. Poi se è “vero” che le forze eritree sono sul campo, precisa Awet Weldemichael, è evidente che «qualsiasi pressione diplomatica per una risoluzione pacifica non avrà successo a meno che non coinvolga Asmara – in una forma o nell’altra».

A livello internazionale il Papa ha esortato le parti in conflitto a far cessare le violenze affinché sia salvaguardata la vita, in particolare dei civili. Ma l’unica apertura del governo è stato l’impegno ad aprire «una via di accesso umanitario» alla regione. Una delegazione della Croce Rossa Internazionale che ha avuto accesso al Tigray occidentale ha raccontato di villaggi distrutti, quello di Damsha in particolare, e di sfollati che vivono in campi improvvisati senza cibo, acqua o cure mediche.

Al punto in cui siamo i numeri sono questi: 3 settimane, 43.000 rifugiati, 64 ricercati, 1 guerra, e 1 Nobel per la pace (Abiy). Solo i morti non si possono contare.