«Avresti vinto pure con il Gabibbo» dice Marcello De Vito a proposito dell’ascesa del potere del Movimento 5 Stelle, riducendo con cinismo e spietato realismo la sua storia politica di questi anni alla consapevolezza di aver intercettato un vuoto di potere al Campidoglio e di essersi limitato ad aver percorso serenamente le praterie lasciate libere dalla crisi dei partiti tradizionali. L’intercettazione ambientale è tratta da uno dei suoi dialoghi con l’avvocato Camillo Mezzacapo, l’uomo che secondo l’ordinanza di arresto svolgeva il ruolo di intermediario tra il presidente dell’assemblea capitolina e alcuni dei principali cementificatori romani. Dunque, dicono i pm, la macchina finanziaria che muove le betoniere che portano il marchio di Parnasi, Toti, Statuto sarebbe arrivata a corrompere anche il grillino che siede sulla poltrona più alta dell’aula Giulio Cesare del Campidoglio.
Per cogliere appieno il personaggio De Vito bisogna fare una premessa che riguarda la sua composizione sociale e che lo accomuna a buona parte dei suoi colleghi. De Vito viene dalla mondo della piccola avvocatura come praticamente tutta la colonna portante del M5S romano che nel giro di pochi anni è arrivata nelle stanze dei bottoni dell’amministrazione capitolina ereditando una galassia di contatti e reti di relazioni. È avvocata Virginia Raggi, la sindaca che lo sconfisse alle primarie online e che aveva lavorato nello studio di Pieremilio Sammarco. È avvocato il giovane Enrico Stefàno, che prenderà il posto di De Vito alla presidenza del consiglio comunale e che venne eletto per la prima volta nella scorsa consiliatura grazie ad un mezzuccio tipico della politica tradizionale: il padre ebbe l’intuizione di distribuire all’evento di chiusura della campagna elettorale centinaia di tradizionalissimi bigliettini col suo nome, così i tantissimi simpatizzanti che non conoscevano neanche la faccia di un candidato ebbero un’indicazione di voto che pareva dettata dal M5S. È avvocata anche Roberta Lombardi, oggi consigliera alla Regione Lazio dopo essere stata deputata e dopo aver provato la scalata alla presidenza. Fino a poco fa Lombardi era considerata la «faraona» del M5S romano.
Da questo gruppo di laureati in giurisprudenza che prima del M5S si muovevano tra praticantati in grossi studi legali e piccole cause, proviene il quarantacinquenne Marcello De Vito. È lui il candidato a sindaco nel 2013, quando la spunta Ignazio Marino e il M5S raccoglie più del 12% dei voti. Da lì, nella città degli arresti di Mafia Capitale e della fine di un’intera classe politica, parte la marcia verso la vittoria delle comunali di tre anni più tardi. Così, quando si tratta di celebrare ancora le primarie per il candidato sindaco grillino, De Vito ci riprova. Solo che presto circola un’indiscrezione che vuole che dalle alte sfere della Casaleggio Associati abbiano scelto un’altra consigliera uscente, considerata più efficace dal punto di vista comunicativo: Virginia Raggi. Si parlerà di dossieraggio ai danni di De Vito e dello zampino di Raffaele Marra, anche lui finito agli arresti per corruzione. Di sicuro tra Raggi e De Vito i rapporti sono tesi. Quest’ultimo si fa forte delle quasi 6500 preferenze che lo portano in assemblea capitolina come eletto più votato e incassa la nomina a presidente d’aula. Smette di essere il contraltare della sindaca per assumere un ruolo istituzionale, quasi collaterale, presente ma felpato. Sua moglie, Giovanna Tadonio, diventa assessore alle politiche al III municipio, territorio che abbraccia il quadrante nordoccidentale di Roma e che è il serbatoio di voti, suo e di Roberta Lombardi. Sua sorella Francesca si fa notare su Facebook per qualche commento acido verso la sindaca, poi rientra nei ranghi e viene eletta consigliera regionale nel Lazio, ancora una volta accanto all’aspirante presidente Lombardi, che all’epoca dello scandalo del «raggio magico» aveva parlato di un virus che stava contagiando il M5S romano. Raggi adesso, a due anni da quelle polemiche e quando il primo ha varcato solo da poche ore la soglia di una cella nel carcere di Regina Coeli, consuma il piatto freddo della vendetta e dice a denti stretti: «È noto che Marcello De Vito e Roberta Lombardi non mi amavano».