Ci vuole un attimo perché le riflessioni di Paolo rimangano sospese nell’aria blu di una giornata di sole a Palermo. Lui che la figlia rimprovera sempre perché «papà non si passa col rosso» a quel guilty pleasure non rinuncerebbe mai, anzi la sfida più eccitante con sé stesso è proprio attraversare col motorino l’incrocio quando tutti i semafori sono rossi. Finché non arriva quell’attimo (fuggente?) che gli sarà fatale: il nostro Paolo, ingegnere e come verrà ripetuto più volte «uomo medio» si ritrova in un’affollata sala d’aspetto per l’al di là tra chi protesta e chi incredulo dice che non è ancora il momento.

Pure lui prova a cercare scappatoie, e l’angelo – Renato Carpentieri – gli offre la possibilità di tornare giù sulla terra per dire addio un po’ meglio alla famiglia trascurata nelle abitudini del quotidiano. Tempo a disposizione un’ora e trentadue minuti, pochissimo o infinito di fronte all’eternità.
È in questo escamotage che Daniele Luchetti racchiude la narrazione di Momenti di trascurabile felicità, unendo insieme all’autore che con lui firma la sceneggiatura, due libri di Francesco Piccolo, quello di cui prende il titolo e quello che a felicità sostituisce «infelicità» (entrambi Einaudi), raccolte di svolazzanti digressioni sulla vita e i suoi imprevisti,contrattempi, epifanie in un «quasi» monologo interiore. Nel ruolo di Paolo, a interrogarsi sul destino della luce del frigorifero o su come interpretare la fatidica frase «ti penso sempre ma non tutti i giorni» troviamo Pif, sempre uguale ai suoi personaggi – «a» La Mafia uccide solo d’estate – di narratore dentro e fuori le cose della realtà, unico cosciente di quanto sta accadendo.

AL TAVOLO di montaggio la sua esistenza va avanti e indietro, il primo incontro con la moglie (Thony) ,il sesso la mattina con le madri dei compagni di scuola dei figli, l’indifferenza, l’ostilità della rigidissima figlia maggiore (Angelica Alleruzzo) , i segreti e tradimenti (forse reciproci) coniugali, gli amici, il rito della partita vista insieme mentre l’angelo implacabile sta lì scandire i minuti. Ma invece di mettersi in discussione nella malinconia e nel rimpianto per ciò che aveva e di cui forse non ha saputo cogliere la preziosità, il nostro spende il tempo a trovare giustificazioni sempre ineccepibili dal suo punto di vista – che se sbaglia la morte non possiamo sbagliare anche noi? – e a rammaricarsi di aver perduto una nuova occasione con l’amante …

Così questo Cielo può attendere formato familiare diviene l’ennesima variazione (molto piccoliana) sul maschio e sulla sua auto-assoluzione che puntualmente arriva, anche se faticosa, per carità, stavolta deve persino morire.Del resto cosa aspettarsi in una visione dell’esistenza con tanto poco slancio in cui la famiglia è il rifugio e il bene supremo meschinità incluse perché così è e deve essere. Potrebbe essere persino divertente con un po’ di ironia e di distanza, che non sono nelle corde del film. La sola certezza è l’uomo eterno bambino e per fortuna che c’è sempre una mamma con gli occhi buoni e la pazienza per capirlo.