michele raitano

«Il trasferimento sull’obbligo al lavoro di qualsiasi guadagno di aspettativa di vita media è assai forzato: logica vorrebbe che i guadagni di aspettativa di vita venissero distribuiti fra vita attiva e fase di ritiro». Michele Raitano, docente alla Sapienza ed esperto di pensioni, è stato fra i primi a porre il problema della norma sull’adeguamento ell’età pensionabile all’aspettativa di vita.

Raitano, la norma introdotta da Sacconi e resa più rigida dalla Fornero si spiega solo con criteri di risparmio?

L’allora governo Berlusconi definì il principio in base al quale tutti i requisiti per il pensionamento crescano automaticamente con l’evoluzione dell’aspettativa di vita per migliorare i saldi di bilancio. Ciò che stupì della riforma Fornero di soli due anni più tardi, oltre all’asprezza e alla mancata gradualità dell’intervento fu l’aver incrementato l’età pensionabile in modo omogeneo per tutti, senza tener adeguatamente in conto le molteplici eterogeneità individuali nella possibilità di prosecuzione dell’attività, a causa, ad esempio, di problemi di salute, vincoli familiari e, più in generale, d’una limitata occupabilità.

Quali le conseguenze di un incremento uguale per tutti i lavoratori senza distinzione?

Un’età pensionabile uguale per tutti – e, in prospettiva, nel sistema contributivo, un meccanismo di calcolo attuariale della pensione basato sulla sola aspettativa di vita media – comporta, di fatto, una chiara redistribuzione in senso regressivo della ricchezza pensionistica (il totale delle pensioni che si riceverà nella vita) da chi vive di meno, dunque i meno abbienti, a favore dei più abbienti, che vivono in media di più. Emerge anche il rischio che l’aumento forzoso della vita attiva per persone impegnate in lavori di diversa gravosità, oltre che lo stress associato ai rischi di disoccupazione in età anziana – dato che non tutti fronteggiano le stesse opportunità occupazionali da anziani – possano ulteriormente amplificare i differenziali sociali di salute e mortalità.

Ape sociale e interventi nell’ultima legge di bilancio non hanno invertito la direzione?

Il principio alla base dell’Ape sociale, che riconosce le eterogeneità fra lavoratori, è assolutamente apprezzabile. Il modo in cui si definiscono le categorie dei beneficiari potrebbe però creare alcune differenze difficilmente giustificabili fra le categorie ammesse o meno all’anticipo e condizionare in negativo il futuro percorso di riforme che intendano rispondere in maniera più adeguata alle sfide sul tappeto.

La commissione mista sindacati governo Istat prevista dall’accordo cosa dovrebbe fare?

Dal punto di vista dell’equità, la letteratura epidemiologica è unanime nell’evidenziare quanto ampie siano le differenze nelle condizioni di salute e nei rischi di mortalità di individui di diverso status socioeconomico. Su questa base, si deve avviare una seria riflessione su cosa condizioni le diverse opportunità dei lavoratori e quali siano le ricadute delle possibili linee di intervento sul sistema economico.