È una delle prime conseguenze del risultato avuto dall’Alternative für Deutschland lo scorso settembre: quel 12,6%, pari ad oltre 6 milioni di voti, che ne ha fatto la terza forza politica del paese. Su quella base, gli eletti dell’estrema destra si stanno insediando in tutte quelle istituzioni pubbliche le cui nomine spettano al Bundestag. Come per la Fondazione che gestisce il Monumento alla memoria delle vittime dell’olocausto, e il relativo centro di informazione sotterraneo, inaugurati nel 2005 non lontano dalla Porta di Brandeburgo, nel cuore di Berlino.

Lo statuto della Fondazione, redatto nel 2000, quando sembrava impensabile che neonazisti ed estremisti di destra potessero entrare nel parlamento nazionale, prevede infatti che ogni forza politica possa nominare un proprio rappresentante negli organi direttivi: opportunità di cui l’AfD ha già fatto sapere che intende avvalersi.

Di fronte a questo rischio, tra i responsabili della Fondazione cresce l’allarme. La prima ad intervenire è stata la giornalista Lea Rosh, tra le figure pubbliche più attive nel sostegno al progetto di costruzione del Memoriale. «Il programma dell’AfD è talmente ostile alla democrazia che l’ingresso di questo partito nella Fondazione deve essere evitato a qualunque prezzo», ha dichiarato Rosh prima di rivolgersi all’ex ministro della Cdu, Wolfgang Schäuble, che in quanto presidente del Bundestag siede anche alla guida dell’organismo che gestisce il Memoriale, perché intervenga.

A suscitare ulteriore sconcerto c’è anche il fatto che proprio l’opera dedicata alla vittime della Shoah è già finita nel mirino della destra. Nel 2015, Björn Hocke, uomo forte dell’AfD in Turingia, aveva definito addirittura il Memoriale come «il monumento della vergogna». La leader del partito in quella fase, Frauke Petry, aveva chiesto, senza riuscirci, l’espulsione di Hocke, sostenuto invece dai nuovi vertici dell’AfD, in particolare da Alexander Gauland ed Alice Weidel. Proprio Gauland ha rincarato la dose durante la campagna per le politiche, sostenendo che dobbiamo «essere fieri dei risultati dei nostri soldati durante la Seconda guerra mondiale».

Del resto, le continue sortite in spregio ad ogni verità storica e dal tono ultranazionalista, oltre ai continui rimandi espliciti al razzismo, stanno accompagnando anche nelle ultime settimane le prese di posizione degli esponenti dell’AfD. Così, il deputato Jens Maier è entrato a far parte del consiglio dell’Alleanza per la democrazia e la tolleranza, organismo pubblico che riunisce associazioni e ong che operano per il dialogo inter-comunitario, malgrado avesse definito il figlio della leggenda del tennis Boris Becker come un «mezzo negro». Allo stesso modo, il candidato del partito al posto di vice-presidente della Camera, Albrecht Glaser, ha chiesto che i musulmani che vivono in Germania siano privati di ogni diritto religioso loro consentito dalla Costituzione. E a riprova che l’ingresso in parlamento ha tutt’altro che ridotto il potenziale offensivo e radicale del partito, come alcuni osservatori sembravano credere, solo pochi giorni fa una eletta berlinese, Franziska Lorenz-Hoffmann, ha diffuso via Facebook un manifesto di propaganda del III Reich, poi rimosso, che affermava, «donna tedesca, preserva la purezza del tuo sangue, gli stranieri non devono toccarti».

Per il politologo Anjo Funke dell’Università libera di Berlino, «non siamo in presenza di una deriva occasionale, ma di una vera e propria strategia di radicalizzazione che mira a integrare i neonazisti e i settori più estremi nell’AfD».