Josué Bernardo Marcial Campo era un giovane di 24 anni di Veracruz, Messico. Musicista e attivista conosciuto con il nome di TioBad. Mescolava il suono jarocho con il rap.

Il 16 dicembre del 2019 l’hanno trovato in una busta di plastica, fatto a pezzi. Negli ultimi 10 anni TíoBad ha lottato per difendere l’uso della tradizionale lingua mixe-popoluca, tipica della sua città, Sayula de Alemán, e con la sua musica ha denunciato lo sfruttamento massivo del suo territorio attraverso il fracking, le promuscuità tra economie legali, illegali e la politica, gli omicidi di giornalisti e i tentativi di cancellare le tradizioni indigene.

TIOBAD SI AGGIUNGE, solo in questo 2019, a Samir Flores Soberanes (Stato di Morelos), Julián Cortés Flores (del Guerrero), Ignacio Pérez Girón (dal Chiapas), José Lucio Bartolo Faustino, Modesto Verales Sebastián, Bartolo Hilario Morales e Isaías Xanteco Ahujote (tutti dal Guerrero), Juan Monroy y José Luis Rosales (dello stato di Jalisco), Feliciano Corona Cirino (da Michoacán) tutti uccisi, denunciano le comunità di appartenenza, perché indigeni e attivisti in difesa del territorio.

CON L’ARRIVO AL GOVERNO DI ANDRES Manuel Lopez Obrador le politiche di stampo estrattivista del governo non si sono fermate. Il «credo» di Amlo è lo stesso degli altri governi «progressisti» del continente ovvero garantire la ridistribuzione di ricchezza sfruttando le risorse naturali del territorio. Vero però che quel tipo di scelta economica ha mostrato la sua fragilità rompendo i legami sociali tra governo e comunità indigene, e spesso – si veda il caso venezuelano – legato le sorti dell’economia statale al ricatto delle multinazionali.
Non più tardi dell’agosto 2019, il centro di analisi e investigazioni Fundar, nel suo studio annuale, chiedeva con urgenza al governo di vietare il fracking, prendere in considerazione alternative sistemiche per superare il modello estrattivista e sostenere forme alternative di sviluppo capaci di proteggere l’ambiente, e così rispettare e garantire i diritti umani di chi vive alcuni territori e lotta per difenderli.

PER ISAIN MANDUJANO, giornalista della rivista Proceso, «il governo di Lopez Obrador non ha una politica ambientalista definita e di alto impatto. Non abbiamo visto, in questi primi mesi, una politica di grande apertura sul tema come peraltro necessario a causa della crisi climatica, per non parlare della situazione economica». Per il giornalista parlare di politiche ambientali significa affrontare le problematiche «delle acque reflue, delle discariche, della contaminazione dei fiumi, dell’assenza di politiche urbane sul riciclo, del disboscamento e della deforestazione».

NEGLI STESSI GIORNI DELL’OMICIDIO di TioBad il governo Lopez Obrador, invece, promuoveva la consultazione delle popolazioni di Chiapas, Tabasco, Yucatan, Camapche e Quintana Roo per dare il via libera al «Tren Maya», infrastruttura ferroviaria irreversibile pensata per collegare Palenque a Cancun e favorire il trasporto e l’accoglienza dei turisti lungo tutti i 1500 chilometri di tragitto. Secondo l’opinionista de La Jornada, Carlos Fazio, «il Tren Maya non è nuovo, non è solo un treno, e non è Maya. Questo progetto non farebbe fare al Messico alcun esodo dal neoliberismo né restituirebbe allo Stato il suo ruolo guida come motore dello sviluppo economico nazionale, poiché la maggior parte degli investimenti sono di privati». Mentre Ana Esther Cecena nel suo Grandi Opere per il mercato mondiale sostiene che tale progetto va nella direzione di «dominare la natura, disciplinarla e trasformarla in una risorsa (capitale naturale), nonché convertire la popolazione in capitale umano», poiché «sono elementi chiave nella determinazione del dominio capitalista sulle forme di vita».

OLTRE IL 90% DI CHI SI E’ PRESENTATO in uno dei 268 seggi ha dato il via libera al progetto, e Lopez Obrador ha cantato vittoria. Alcuni giorni dopo la consultazione però sono stati pubblicati i dati di partecipazione al voto e si è scoperto che solo il 2,68% degli aventi diritto si era espresso. Non solo. Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Uniti per i Diritti Umani la consultazione «non ha seguito gli standard internazionali» e non può quindi essere considerata valida. Il Tren Maya non è altro che una delle grandi opere o dei progetti di estrazioni dal sottosuolo a rappresentare gli interessi del capitalismo a discapito dell’ambiente.

IL PROGETTO INTEGRALE MORELOS e «lo sviluppo» integrale dell’Istmo de Tehuantepec sono gli altri due enormi progetti di scontro tra il governo e le comunità rurali unite agli ambientalisti. Ma negli ultimi 12 anni sono stati almeno 134 progetti minerari, 70 petroliferi, 50 idroelettrici, 35 eolici e 15 gasdotti a generare 879 conflitti di natura ambientale, territoriale e lavorativa. Progetti d’estrazione e grandi opere sono così un nodo centrale nel paese. Non solo perché rappresentano il programma di sviluppo economico del governo di Lopez Obrador, non solo perché sono elemento di scontro con le popolazioni indigene e con i campesinos, soggetti ai quali Amlo aveva promesso attenzione, ma soprattutto perché attorno a tali interessi economici si muovono anche gruppi del crimine organizzato.
Spesso le aree di azione del crimine organizzato coincidono con i territori dove sono in corso conflitti per la difesa dell’ambiente e del territorio. Con la violenza, l’impunità e la convivenza di Polizia Federal ed esercito, i gruppi criminali prendono possesso delle aree interessate per poi trattare con aziende e politica il loro sfruttamento.

LE PAROLE DELL’ONU ARRIVAVANO in concomitanza con l’inzio, in Chiapas, del «Foro in difesa del territorio e della Madre Terra» organizzato dall’EZLN e dal Congresso Nazionale Indigeno. All’incontro, che si è svolto nel nuovo Caracol Jacinto Canek, a San Cristobal de Las Casas, hanno partecipato realtà indigene e campesine di 24 stati della repubblica messicana, oltre che comunità solidali di Guatemala, Ecuador, El Salvador, e Stati Uniti d’America.

Al termine della due giorni è stato scritto un lungo e duro comunicato contro il governo di Andres Manuel Lopez Obrador, diviso in quattro punti, e che come terzo sostiene: «Per avanzare nella sua guerra, il malgoverno scommette sullo smantellamento del tessuto comunitario, fomentando i conflitti interni che tingono di violenza le comunità, tra chi difende la vita e chi vuole mettergli un prezzo, anche a costo di vendere le future generazioni a beneficio milionario di pochi corrotti che si servono dei gruppi armati della criminalità organizzata».

Secondo il Centro Messicano di Diritto Ambientale, infatti, «in Messico molte delle violazioni dei diritti umani nei confronti di popolazioni e comunità indigene e rurali sono state perpetrate nell’ambito dello sviluppo delle grandi opere. Ciò è dovuto, in gran parte, all’esistenza di una politica economica e sociale che manca di qualsiasi prospettiva di sostenibilità e rilevanza bio-culturale, che causa un consumo eccessivo di risorse naturali, distruzione ecologica, deforestazione, erosione del suolo, desertificazione, sfruttamento eccessivo delle risorse naturali e inquinamento dell’acqua e dell’aria».