Nonostante il mondo della moda faccia finta di niente e tenti di affogare l’incubo immergendosi nei pettegolezzi e nelle speculazioni del possibile nuovo impego, l’uscita di Hedi Slimane da Saint Laurent, dopo quattro anni in cui il suo lavoro ha portato il marchio tra i più profittevoli tra quelli di proprietà del gruppo Kering, avrà delle conseguenze molto pesanti. Evento che, nella sciagurata convinzione che i numeri hanno più ragione delle intelligenze, solo l’assoluta testardaggine del sistema non vuole vedere, imbrigliato com’è nelle logiche del profitto, del marketing e della eccessiva quantità di prodotto.
Forse, prima o poi si accorgeranno che senza intelligenze i numeri diminuiscono e i profitti spariscono. Ma a osservare quanto sta accadendo, non sembra che il momento di questa consapevolezza sia arrivato.

Per esempio, Francesca Bellettini, Ceo di Sain Laurent, nella prima intervista rilasciata a un sito di informazione del settore dopo l’uscita di Slimane e la nomina del giovane Anthony Vaccarello alla direzione creativa, tra mille giri di parole e dichiarazioni rassicuranti alle quali non sembra credere né lei né l’intervistatore compiacente, in pratica sostiene di essere sicura della tenuta del marchio perché il direttore creativo che ha lasciato l’incarico in quattro anni ha studiato e attuato una strategia così forte e caratterizzante la cui efficacia darà buoni risultati per almeno i prossimi dieci anni. C’è da chiedersi, allora, come mai abbiano avuto bisogno di nominare un nuovo direttore creativo, sia pure con meno esperienza e meno carisma, la cui missione è tenere in vita il lavoro dei quattro anni precedenti.

Certo, la brillante Ceo ha anche messo le così dette mani avanti dicendo che difficilmente un marchio che è cresciuto per anni a doppia cifra potrà tenere lo stesso ritmo. Ma è tutto da dimostrare, seppure nella sua logica. Tanto più che, per vari fattori, i margini della maggior parte dei marchi della moda di lusso si stanno restringendo come un maglione di cashmere lavato in lavatrice. Un dato su cui suona l’allarme di parecchi economisti e analisti bancari che se ne occupano. E molti si chiedono se, inconsapevolmente o meno, «l’industria del luxury fashion ha fissato da sola il prezzo della propria estinzione» visto che, nella consapevolezza che il suo pubblico non desidera più i suoi prodotti come faceva una volta, sembra non studiare le necessarie misure di contrasto e le strategie conseguenti. Non ultima, quella dei prezzi che, anche agli affezionati dello shopping costoso, appaiono troppo alti per prodotti che non si distinguono da quelli a basso prezzo né per la qualità né per l’aspetto.

Gli storici sostengono che la storia non è mai uguale a se stessa, ma spesso si ripete con le stesse dinamiche. A questo proposito, basterebbe ripassarsi la storia di Dior. Allontanato Yves Saint Laurent nel 1960 con il pretesto del suo servizio militare obbligatorio in Algeria, la Maison all’epoca più nota di Parigi nominò alla direzione creativa Marc Bohan. Che ci restò 30 anni, durante i quali il marchio si sviluppò solo con profumi e cosmetici e ritornò a rappresentare una referenza nella moda soltanto con la nomina di John Galliano nel 1996. Ma oggi prendere una decisione con sei mesi di ritardo fa più danni procurati dai 36 anni di allora.

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