L’inizio della moda 2014 porta allo scoperto il nervo della riproposizione dell’immagine. Tra le sfilate dell’uomo e quelle della haute couture appena concluse a Parigi, non si può fare a meno di notare come il fenomeno dell’estetica replicata sia un problema che va oltre la copia. In effetti, non si può più dire che questo stilista copia quell’altro, anche se sulle passerelle si notano rifermenti più che espliciti a collezioni di anni passati di altri stilisti. Per la haute couture a Parigi, per esempio, la stilista russa Ulyana Sergeenko non si è risparmiata nell’uso dei riferimenti agli anni d’oro di John Galliano per Dior, oltre a tante altre collezioni di altri miti della couture. Il tutto, rivisitato con il gusto della ricca Russia di Putin, a occhi inesperti può apparire perfino nuovo, bello o brutto che sia.

E qui sta il nodo: l’ignoranza della moda che impera su tutto il continente nelle nuove generazioni che studiano sulle immagini di Instagram o di Facebook permette quei successi planetari la cui durata è direttamente proporzionale alla vacuità effimera in cui nascono. Se i critici più attenti avvertono già ai primi vagiti di un nuovo marchio l’assoluta vita breve dell’esperienza, i blogger e i web journalist di nuova generazione fomentano la costruzione artificiale del successo, che incosapevolmente bruciano sulle pagine dei social network. Il risultato è l’assoluta autoreferenza degli stilisti, delle collezioni, della clientela-groupy, e dei nuovi media che su queste esperienze tentano la loro notorietà e la fortuna pubblicitaria. Insomma, è un cortocircuito.

L’operazione non risparmia nessuno. La prova è che anche gli stilisti più accorti cadono nella trappola. Per esempio, Hedi Slimane per l’uomo di Saint Laurent celebra il teddy boy mischiandolo con il mod. Due estetiche forti, ma del passato, che per fortuna Slimane riesce a trasformare in una figura plausibile per l’oggi, oltretutto anche molto bella e con molto gusto. Ma questo non basta a eliminare l’ossessione dell’estetica replicata ad anni di distanza. È vero che abbiamo capito che oggi non importa che cosa indossi ma come lo indossi (è più una questione di styling che di stile) ma se non ci si fa abbagliare dall’attitudine modaiola dei lustrini non si può fare a meno di giocare a «trova le differenze» tra l’immagine del 2014 e quella del secolo scorso.

Scrive Massimiliano Fuksas, a proposito dell’Architettura: «Sempre più frequentemente ci imbattiamo in espressioni ripetitive. Vediamo progetti che si assomigliano o differiscono per inezie. Si propongono immagini vuote. Avviene per inerzia un’omologazione di forme». È verissimo anche per la moda. Quindi, è un problema dei tempi. Marco Zanini ha appena presentato la sua prima collezione per Schiaparelli e giura di non aver voluto copiare dagli archivi. «Elsa è già tanto copiata», ha detto. E ha fatto una collezione Schiaparelli non didascalica. Quindi, le soluzioni possono essere anche diverse da quelle imperanti e omologanti.

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