L’estate, per gli appassionati di cinema di serie B con forti derive verso la Z, era il momento in cui si scoprivano piccoli, minuscoli film d’azione, sovente targati Cannon, interpretati da attori che solo la nostalgia vintage stalloniana ha saputo recuperare strategicamente. Chi si ricorda, oggi, di film come Il sergente di fuoco, interpretato da Fred Dryer, o di cose come Forza d’urto di Craig R. Baxley o di robe come Faccia da bastardo di Kurt Wimmer?

 

 

Nessuno, ovvio. Certi film sono fatti per essere consumati e dimenticati, senza essere insultati dall’isteria rivalutazionsta a oltranza.
Lo spettatore che vagava fra le sale deserte delle città affocate incuriosito dai cloni di Stallone e Schwarzenegger, sperando di scoprire un nuovo Carpenter o Fuller (e con gente come Fred Dekker o Jack Sholder c’era persino il rischio di sbagliarsi…) non si faceva certo spaventare da nomi come Michael Dudikoff o Brian Bosworth.

 

 

Motivo per cui, anche a dimensioni produttive mutate, lo stesso spettatore di allora è molto ben disposto nei confronti di un film come Joker – Wild Card, remake alla lontana di un classico minore di Burt Reynolds, Black Jack, diretto da quel Dick Richards responsabile di due titoli revisionisti sino a qualche tempo molto citati come Fango, sudore e polvere da sparo e Marlowe, il poliziotto privato. E nonostante Statham possegga un profilo di star molto maggiore dei lifer dell’action movie che lo hanno preceduto, anche per lui l’estate è il momento in cui si tirano fuori film che una volta sarebbero finiti direttamente in home video. Proprio come i film di Burt Reynolds degli anni Novanta.
Diretto da Simon West, quello di Con Air per intenderci, Joker – Wild Card sta all’originale proprio come The Mechanic stava a Professione assassino di Michael Winner. Statham dimostra di appartenere alla razza di attori che riescono a riempire lo schermo anche quando hanno molto poco da fare e la regia latita. La mitologia accumulata sinora fa sì che la sua presenza schermica funzioni per pura forza d’inerzia.

 

 

Con abnegazione operaia, Staham passa attraverso la routine del suo repertorio come il più navigato degli stand up comedian conquistandosi di diritto un posto d’onore nel pantheon delle action star che non vanno mai in vacanza. Nemmeno quando la maggior parte dei cinema chiude. Soprattutto in Italia. Fa una certa impressione vederlo in piena azione sulla locandina del flm.

 

 

Entrando in sala si ha quasi l’impressione di partecipare a un rito più grande di Staham e dello stesso spettatore messi insieme. Ovviamente è solo un illusione. Il film, nonostante qualche assolo, è tutto già visto e si finisce persino per riservare un pensiero affettuoso a Joe Zito e a Sam Firstenberg che hanno firmato alcuni dei film brutti più belli del mondo. Si esce dal cinema, e si osserva con affetto la locandina. Non è colpa di Jason Statham. Lui ce la mette tutta. É il cinema che non contempla più la classe operaia action che si prendeva cura di quanti restavano e restano tuttora in città contando alla rovescia per la fine del più crudele dei mesi.