Manca meno di un mese al primo dibattito per le primarie democratiche, un kolossal in due puntate previsto a Miami il 26 e 27 giugno. Una serata televisiva non sarebbe bastata ad accomodare i venti e più candidati attualmente in campo per la corsa alla nomination presidenziale da cui emergerà l’uomo, o la donna, che avrà il compito di riprendersi la Casa bianca da Donald Trump, nel novembre 2020. A partire dal terzo dibattito, previsto per settembre – secondo una recente, già criticata, iniziativa del partito – il campo democratico si limiterà ai candidati le cui campagne possono vantare oltre 130 mila contribuenti. La previsione è che il tetto potrebbe squalificare un terzo dei concorrenti.
In attesa di iniziare a duellare tra loro in prime time (non si sa ancora in quale assortimento, in ognuna delle due serate) i democratici stanno duellando per emergere nel quotidiano tritatutto mediatico che l’arrivo in scena di Trump ha accelerato e intensificato enormemente.

È DIFFICILE «bucare» tra la folla di aspiranti alla nomination; per non parlare di competere con la cascata di tweet presidenziali, i rally Maga e i continui espedienti comunicativi del presidente in carica. C’è chi, come Elizabeth Warren, cerca di farlo accumulando uno dopo l’altra apparizioni e press release che annunciano, in dovizia di dettaglio, le iniziative politiche che l’instancabile senatore del Massachusetts intraprenderebbe una volta entrata alla Casa bianca – pare che la strategia «secchiona» stia funzionando, specialmente sull’elettorato più a sinistra, che ne apprezza il focus pragmatico, e tra i cui ranghi Warren starebbe rimontando su Bernie Sanders. Grazie al suo tasso di riconoscibilità più alta l’ex vice presidente Joe Biden -aka lo zio Joe- puo permettersi di non agitarsi più di tanto; anzi la sua campagna sembra quasi rivendicare un folklore pre-social media -la sua apparizione più importante, non a caso, è stata non su Tg via cavo, ma su un talk show tradizionale, di tarda mattina, come The View.

PER GLI ALTRI candidati, la guerra del momento è quella per la visibilità nei media, la costruzione di un personaggio. Running with Beto, su Hbo, un documentario sulla campagna senatoriale di Beto O’Rourke, celebra la dimestichezza con Facebook del candidato texano e ci mostra per immagini la sua popolarità sui social. I fan possono seguire «Beto» anche dal dentista. «Dobbiamo essere sicuri di cambiare canale dal programma creato dal presidente», ha detto Pete Buttigieg – aka il sindaco Pete – riflettendo la consapevolezza che il linguaggio stesso delle presidenziali del 2020 si modella su quello dei media. Buttigieg ha rilasciato la dichiarazione di sopra durante un forum su Fox News. Lui, come Bernie Sanders, e come la senatrice del Minnesota Amy Kolobuchar – che sta cercando di scrollarsi di dosso una reputazione da dominatrix, dopo un articolo del «New York Times» che descriveva le angherie cui sottopone il suo staff- sono apparsi a caccia di voti in talk show o town hall sul canale preferito di Trump. Un anatema per altri democratici. Warren, per esempio, ha rifiutato la stessa offerta (definendo Fox News «un raket che vende odio per profitto») preferendo video virali con Alexandra Ocasio-Cortes in cui si discute di Game of Thrones o della, bancarotta di Sears. La più neutra delle reti all news, CNN prevede town halls per tutti. Ma è altrettanto facile trovare la senatrice californiana Kamala Harris sul talk show notturno di Steven Colbert, dove quella di New York, Kirsten Gillibrand, ha annunciato la sua candidatura. Ventitrè candidati a tutte le ore su tutti i canali, che si sgomitano a vicenda per air time. Sarà un’estate lunghissima.

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