Diverse istituzioni, formali e informali, che abitano la città di Roma, hanno deciso di federarsi per tracciare un sentiero di ricerca. Federarsi per produrre, nella capitale, uno spazio del «tra» delle istituzioni, con l’ambizione di rimettere a verifica criticamente i confini di una disciplina, il diritto, e nello stesso tempo decostruire gli stessi confini che perimetrano tradizionalmente le istituzioni e che le spingono all’autoreferenzialità, separando la loro attività formativa e di ricerca dal tessuto urbano, dalle sue contraddizioni e dalle sue tensioni. Indagare il lato spaziale del diritto e realizzare un nuovo ambito di ricerca, intrecciando saperi in luoghi pubblici diversi, sperimentando modalità differenti di incontro. Oltre all’incontro pubblico, che prende il via oggi presso la sede dell’Istituto Svizzero di Roma (Via Ludovisi 48), grande attenzione è data ai momenti di approfondimento e di preparazione ai vari incontri: un laboratorio sul diritto da intendere come un modo, tra gli altri, per ridisegnare la città che abitiamo.

Istituzioni e antagonismi

La ricerca nasce con l’intento di tornare ai fondamenti di alcuni concetti e problematiche che attraversano i conflitti del tempo presente, a partire dall’uso che i movimenti sociali hanno fatto del linguaggio e degli strumenti del diritto. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un’inedita combinazione tra la dimensione delle pratiche − sociali, politiche, artistiche − e la sfera giuridica. Una combinazione che ha prodotto un doppio movimento. Da un lato le pratiche hanno tentato di risignificare il campo del diritto, mostrandone il suo lato potenzialmente produttivo: si pensi alle tante esperienze di lotta per i commons e per il diritto alla città. Dall’altro, la scienza giuridica più avveduta, posta di fronte a tali insistenze, si è dovuta inoltrare al di là dei confini disciplinari, lasciandosi così alle spalle l’inaridente prospettiva del formalismo e della dogmatica.

Per questa ragione oggi il diritto, meglio, l’uso del diritto, costituisce un nuovo e fertile sentiero di ricerca. L’uso che del diritto si fa oggi si discosta sensibilmente da quello che se ne poteva fare qualche decennio addietro, non solo per il carattere propriamente costituente assunto dalle pratiche, ma anche per le profonde trasformazioni che hanno investito la dimensione giuridica. Il diritto non può più essere definito, com’è stato per circa due secoli, attraverso l’identità con una forma istituzionale determinata, lo Stato, e con una forma giuridica esclusiva, la legge. Lo Stato sembra aver perso quel duplice monopolio, della produzione di diritto e della forza legittima, che lo rendeva sovrano. La gerarchia delle fonti di produzione del diritto sembra essersi spezzata, scomposta, frammentata, verso l’alto e, insieme, verso il basso.

Queste imponenti trasformazioni ci spingono a tornare ad alcuni concetti-chiave del lessico politico e giuridico della modernità: Stato, federalismo, democrazia, cittadinanza, costituzione, governo. Concetti-chiave che si pongono già su una zona di confine, o di indiscernibilità tra un dentro e un fuori, della scienza giuridica. Per essere colti nella loro intensità, necessitano di uno sguardo ampio, capace di muoversi tra la teoria politica e la storia, la geografia urbana e la sociologia, l’economia politica e la teoria costituzionale. L’uso del diritto, così inteso, ci permetterà di indagare le pratiche non solo nella loro dimensione orizzontale ed estensiva, ma anche sul piano verticale, provando a cogliere il nesso tra produzione di soggettività e dinamiche di articolazione del potere.
Ecco perché indagare i confini del diritto. La parola confine sarà assunta in un duplice senso: confine fisico e disciplinare. Da un lato, la spazialità del diritto sarà un tema costante che attraverserà la ricerca. Si pensi al federalismo, da intendere come una specifica modalità di riorganizzazione dello spazio politico e giuridico, in grado di rimettere in discussione l’interno e l’esterno della sovranità. O alla cittadinanza, sottoposta oggi alla tensione tra la sua intrinseca vocazione universalistica e le differenze introdotte dai dispositivi di controllo delle popolazioni (la cittadinanza europea è un esempio in tal senso molto appropriato). Si pensi, ancora, ai confini fisici, che perdono progressivamente il carattere di «fissità» che li legava al territorio dello Stato-nazione, per divenire mobili, modulari, flessibili (di nuovo l’Europa come esempio paradigmatico, dove il limes esterno non coincide con i confini dei Paesi membri). Del resto, sono proprio i movimenti ad aver fatto emergere la «questione spaziale» come una posta in gioco decisiva della politica contemporanea, con l’occupazione delle piazze, delle strade e dei parchi. Pratiche di lotta da intendere come riappropriazione di luoghi dove sperimentare democrazia.

Dentro e fuori la sovranità

Nello stesso tempo, come si è detto, si tratterà di indagare gli stessi confini disciplinari del diritto. Qui il diritto non potrà che essere colto nella sua dimensione intrinsecamente politica, andando oltre la formula divisoria, tipica della dottrina giuridica liberale, tra Stato e società. Formula che ha permesso la riduzione della politica all’interno dei confini istituzionali dello Stato e l’omologazione dei processi sociali a quelli statali. Cosa accade oggi che lo Stato non detiene più il monopolio di tali processi? Come si riconfigura il ruolo delle costituzioni e del costituzionalismo in tale contesto?

Si tratta di interrogativi a cui dare risposte, seppur parziali, nel corso dei lavori. Se è vero che tutto ciò che abbiamo conosciuto − le istituzioni, i dispositivi rappresentativi, le procedure della legittimazione − attraversa una crisi irreversibile, è vero anche che l’epoca presente non ha ancora trovato le forme politiche adeguate per rispondere a un tale mutamento. La ricerca diviene allora un lavoro di immaginazione politica.