Sin dai suoi albori il cinema ha percorso un sentiero che si biforca continuamente, scindendosi in una prassi e una teoria. Due diramazioni che non hanno mai smesso di intrecciarsi, rincorrersi, a volte ostacolarsi, ma che non possono fare a meno l’una dell’altra.
È qui che può essere individuato il senso dei tre volumi, di cui l’ultimo appena pubblicato, del Lessico del cinema italiano. Forme di rappresentazione e forme di vita (Mimesis 2014-2016) a cura di Roberto De Gaetano, esito di un percorso di ricerca triennale che ha coinvolto alcuni fra i principali studiosi italiani di cinema italiano. 21 voci che adottano un procedimento comune, partire da un film del XXI secolo (con esempi molto diversi tra loro: da Il mestiere delle armi di Ermanno Olmi a Sacro GRA di Gianfranco Rosi, da Scialla! di Francesco Bruni a Noi credevamo di Mario Martone) per rileggere la storia dell’«occhio del XX».
Questo terzo volume fresco di stampa (che comprende i lemmi «Quotidiano», «Religione», «Storia», «Tradizione», «Ultimi», «Vacanza» e «Zapping») dona una chiusura – almeno per il momento – al percorso sin qui intrapreso, evidenziando un continuo sforzo di aderenza alla contemporaneità (prova ne è il rilievo conferito a film usciti dopo la pubblicazione del primo tomo), espressione di una volontà di radiografare lo stato dell’arte e di riaggiustare in tempo reale le premesse teoriche e le conclusioni analitiche raggiunte sinora. Una tensione messa bene in rilievo da Francesco Casetti nella postfazione «Le parole per dirlo», che riprende e rilancia le domande sollevate dal Lessico piuttosto che limitarsi a riassumerne le conquiste. Un punto di partenza, dunque, anziché un punto d’arrivo, fondamentale per ripensare l’eredità cinematografica nazionale con lo sguardo rivolto verso il suo futuro immediato.
Da questa posizione privilegiata, è possibile ora darne una prima lettura d’insieme.
DALLA A ALLA Z
Che cos’è il Lessico del cinema italiano?
Non è una storia generale del cinema italiano. Non è neppure un catalogo per curiosi, perché la prospettiva sinottica comune si sfalda nell’esemplarità degli oggetti d’analisi. Non è tanto meno un dizionario o una guida alla visione, perché le normali categorie d’autore e di consumo vengono stemperate di volta in volta per le esigenze delle singole voci.
Più nello specifico potremmo definirlo allora una mappa concettuale articolata in 21 voci, dalla A di «Amore» alla Z di «Zapping», che restituiscono altrettante storie teorico-tematiche del cinema italiano. Una mappa che non si limita a registrare lo stato delle cose, ma che (ri)scopre percorsi particolari nel territorio preso in esame. Un progetto che instaura una distanza con altre operazioni contemporanee che ambiscono a sistematizzare il cinema e i suoi discorsi, come la Routledge Encyclopedia of Film Theory, curata da Edward Branigan e Warren Buckland. In quest’ultima, il presupposto «scientifico» che la anima risulta inconciliabile con la tensione critica del Lessico, che al contrario si sbilancia continuamente, si arrischia sul terreno impervio della lettura d’insieme, di un’interpretazione politica e «partigiana», di un rilancio in territori extra-filmici, ma non per questo meno cinematografici.
IDENTITÀ NELLE «VOCI»
C’è un’evidente tensione generalizzata che attraversa i tre tomi del Lessico: si tratta del rapporto, mutevole e problematico, tra forme di vita e forme di rappresentazione. Il tentativo messo in atto da ogni lemma è dunque quello di ricostruire un campo di forze che caratterizzano la società e la cultura nazionale e che il cinema italiano ha captato e tradotto nelle mille sfaccettature della sua multiforme varietà, e a volte con straordinaria preveggenza, come nel caso di Habemus Papam di Nanni Moretti, che non a caso apre ben tre voci, una per ciascun tomo: «Habitus» di Giacomo Manzoli, «Identità» di De Gaetano, «Religione» di Alessio Scarlato.
Dalle voci più strettamente tecnico-teoriche (ad esempio «Colore» di Luca Venzi, «Maschera» di Bruno Roberti, «Opera» di Francesco Ceraolo, «Storia» di Christian Uva) a quelle più apertamente tematiche (come «Emigrazione» di Massimiliano Coviello, «Fatica» di Federica Villa, «Vacanza» di Ruggero Eugeni), passando per quelle intermedie che propendono per l’uno o per l’altro dei due versanti, a seconda della declinazione scelta dai rispettivi autori (tra le altre, «Denaro» di Marcello Walter Bruno, «Geografia» di Francesco Zucconi, «Potere» di Gianni Canova, «Quotidiano» di Carmelo Marabello), il lavoro messo in atto dal Lessico si indirizza verso la ricostruzione di un’articolazione «logico-cronologica» – per riprendere Gilles Deleuze – delle singole unità semantiche sottesa a uno schema interpretativo forte che ne orienta lo sviluppo.
A partire da alcuni riferimenti cardine, su tutti Deleuze, Michel Foucault, Maurizio Grande e Roberto Esposito, i diversi percorsi storico-analitici ambiscono a portare in superficie i nodi peculiari del carattere nazionale del cinema italiano, confrontandosi dunque con la specificità della storia culturale della penisola. Non deve stupire quindi il fatto di incontrare lungo le pagine insoliti compagni di viaggio quali Carlo Cattaneo e Giuseppe Mazzini, Giambattista Vico e Giovanni Gentile, o ancora Giacomo Leopardi, Edmondo de Amicis e Francesco De Sanctis. Riflettendo sull’identità italiana e sul cinema italiano come membrana di scambio privilegiata tra tale identità e il popolo che la abita, non potevano mancare gli autori che hanno immaginato uno spazio condiviso del senso che provasse ad essere autenticamente nazionale.
TEMPI E SPAZI
I tre volumi dell’opera articolano un doppio arco cronologico. Da un lato quello proprio del cinema, che si estende dagli esperimenti pionieristici di Leopoldo Fregoli (Fregoli, danza serpentina è del 1897), sino alla contemporaneità più prossima, ad esempio Fuocoammare di Gianfranco Rosi del 2016. Dall’altro quello dispiegato dai film, che abbraccia l’atemporalità mitica (i vari Maciste e le loro diverse funzioni – legittimante o di consumo) e le istantanee di un cinema capace di raccontare il sociale (Mare Chiuso di Andrea Segre) e il politico (Belluscone. Una storia siciliana di Franco Maresco).
Nello spazio attraversato dalla potenza di un determinato concetto ciascuna voce crea una scansione estremamente particolare, caratterizzata da un movimento iniziale di precipitazione dal presente al passato e da una risalita progressiva.
Il contemporaneo diviene così il momento dove rinvenire una determinata istanza problematica e allo stesso tempo il luogo di verifica del percorso svolto. E tuttavia, tale risalita non è mai scontata: i confini tra le classiche periodizzazioni della storia del cinema italiano subiscono infatti un’operazione di sfocatura ed erosione, così da impedire ogni meccanicità nel passaggio dall’una all’altra. Non deve sorprendere, dunque, in alcune voci, il fatto di potersi ritrovare improvvisamente dentro territori pre-cinematografici, né viceversa di non imbattersi in determinati snodi storici.
La coerenza plurivoca ne garantisce poi la peculiare «chiusura aperta»: uno spazio esaurito (il completamento dell’alfabeto) in grado però di rilanciarsi al di fuori dei propri confini, nei termini tanto di compatibilità del modello oltre il cinema italiano, quanto di taglio trasversale rispetto al piano di un pensiero filosofico applicato. Ne scaturisce un testo dai molteplici punti di accesso che si propone di dialogare con altre esperienze artistiche per restituire l’intreccio complesso delle differenti storie artistico-culturali e la loro capacità di modellare l’identità nazionale.
Certamente, non mancano salti tra le singole voci, sia per le differenze stilistiche tra gli autori sia per le intrinseche difformità qualitative dei lemmi prescelti: il risultato restituisce una superficie frastagliata, a tratti disomogenea, che deve continuamente riflettere sui motivi del proprio stare insieme. Ma questo non è esattamente uno dei caratteri più forti e profondi del Bel Paese, del suo popolo e del suo cinema?