Cos’è l’intelligenza umana è la domanda che aleggia implicita nel libro di Giuseppe Longo Matematica e senso (Mimesis, pp. 233, euro 20), un’indagine sulla capacità della matematica di fornire strumenti utili alla comprensione e alla misurazione dei fenomeni fisici e non solo. Si tratta infatti di una disciplina simbolica, astratta e rigorosa, ma non per questo puramente formale, che nasce come strumento per perfezionare la capacità di entrare in relazione con gli stimoli provenienti dall’esterno, al fine di amplificare le nostre potenzialità di sopravvivenza individuale e di specie.

L’INTELLIGENZA SI RICONOSCE nella capacità relazionale di rispondere adeguatamente agli stimoli circostanti, perché gli esseri umani fanno parte della sfera biologica, appartengono ai viventi e devono negoziare costantemente con l’ambiente per strappare una tregua – quel piccolo, precario equilibrio che li tiene in vita e ne differisce la dissoluzione. Aritmetica e geometria consentono di migliorare la nostra interazione con l’esterno per facilitare il nostro adattamento alle condizioni circostanti.

Da questa prospettiva la matematica favorisce la relazione dinamica con il mondo che contribuisce a modellare e non dovrebbe essere considerata un sapere assoluto. Tutte le volte che ha cercato una rappresentazione puramente formale delle proprie funzioni è incorsa in esiti paradossali e soprattutto in risultati negativi. Non è possibile fondare la sua struttura simbolica dall’interno, perché il suo funzionamento dipende da una molteplicità di sistemi di riferimento, gestiti dinamicamente dal cervello, definiti a partire dagli obiettivi concreti che determinano il sistema di codifica o la scelta di rappresentazione effettuata caso per caso, come mostrano – ad esempio – le geometrie non euclidee.

Anche la matematica, come tutte le altre discipline scientifiche, quindi, è immersa in una rete di intersoggettività, nella storia del Sapiens e nella struttura concreta dello spazio e del tempo. In quanto prodotto umano svolge un ruolo politico, perché definisce la struttura intenzionale nella quale abitiamo, cioè il modo in cui riusciamo a interagire con l’ambiente naturale o con quello sociale e storico.

Come il linguaggio dà il nome agli oggetti che ci circondano, la matematica istituisce i processi astratti, rigorosi e simbolici che favoriscono una rappresentazione efficace del mondo esterno. Dipende dai vincoli biologici del nostro corpo e da quelli fenomenici e li esternalizza in forme rappresentative potenti e rigorose. Il successo del cervello umano nell’interpretare e adattarsi alle circostanze discende dalla plasticità della sua struttura che passa da una funzione all’altra utilizzando tutte le sue potenzialità: dagli impulsi elettrici delle sinapsi che connettono la sua miliardaria rete neurale, alle reazioni chimiche che avvengono al suo interno, attraverso un numero incredibile di elementi nelle cellule e nei liquidi che lo costituiscono, oltre a implicare aspetti ancora inspiegati.

SEBBENE LA MATEMATICA sia uno dei più notevoli risultati della capacità cerebrale umana, essa non cattura nessuna essenza dei fenomeni fisici o biologici. La disciplina ci aiuta a selezionare quelle porzioni del mondo esterno che vogliamo esplicitare e quantificare, ma non è costitutiva di quegli stessi fenomeni, tanto che il meccanismo di misurazione è un’altra interfaccia complessa tra i nostri tentativi teorici di cattura e il mondo stesso, che sfugge proprio mentre viene riprodotto nelle nostre rappresentazioni quantitative. I calcoli, quindi, non restituiscono l’oggetto di conoscenza, lo misurano mentre segnalano che ci sfuggirà indefinitamente.

Nella parte finale del libro, Longo scrive una lettera immaginaria ad Alan Turing lodando il risultato teorico e tecnico che ha condotto dalla sua macchina astratta alla realizzazione dei calcolatori e all’intelligenza artificiale. Ma lancia anche un allarme per il rischio di assolutizzare la calcolabilità, rappresentando il mondo come se fosse un grande rompicapo discreto, di cui mancano solo i dettagli algoritmici da implementare per possederne il segreto. Questa deriva computazionale spinge a ritenere il calcolatore come l’unica definitiva mediazione tra noi e le circostanze esterne. La rappresentazione in forma di dati digitali dei fenomeni svolgerebbe per Longo il ruolo del dito che indica la luna riflessa nel pozzo, scambiandola per quella vera.

La forza narrativa della nostra facoltà di immaginazione e di astrazione si trasforma in un boomerang quando ci confonde nel riconoscere l’oggetto della conoscenza. L’aquila sa riconoscere un topolino nascosto tra i cespugli a 200 metri di distanza, mentre ne ignorerebbe la foto a un metro da lei. Paradossalmente è più intelligente rispetto agli esseri umani disposti a confondere una rappresentazione del mondo, per quanto accurata e prestante, con la sua sostanza.

NON POSSIAMO RINUNCIARE a immaginare i fenomeni che ci circondano e a proporre nuovi modi per osservarli, riconoscerli, misurarli, ma non dobbiamo perdere la consapevolezza che ogni struttura simbolica ha senso solo nella storia ed entro il contesto intersoggettivo in cui si è sviluppata. È importante non assolutizzare i risultati dei nostri strumenti tecnologici – potenti proiezioni e riflessi di ciò che ci circonda – sostituendoli al mondo in cui viviamo, che mantiene sempre uno scarto, un residuo impossibile da catturare univocamente da qualsiasi processo di astrazione, per quanto rigoroso e brillante possa sembrare.