Sergio Foà, professore di Diritto amministrativo all’Università di Torino, ha recentemente redatto un rapporto giuridico dove descriveva i possibili scenari in caso di mancato avvio dei lavori relativi alla fase definitiva del Progetto Torino-Lione, ossia lo scavo del tunnel di base di 57,5 km.

Professor Foà, tutti cantano vittoria. Ci può riassumere cosa è successo?

Il presidente del consiglio Conte ha chiesto ufficialmente a Telt di sospendere la pubblicazione dei bandi per l’affidamento dei lavori sulla tratta transfrontaliera, motivando tale decisione con l’assenza delle condizioni per l’avvio di tale procedura. Al contempo domanda di adoperarsi per non perdere i fondi europei. Telt, nella sua risposta firmata dal presidente e dal direttore generale non si limita a prendere atto di quanto gli chiede il governo: in una prima parte dice che la società da loro amministrata deve tener conto della volontà degli Stati, ma aggiunge che dal punto di vista societario deve anche evitare di perdere i finanziamenti europei.

Cosa si dicono quindi, i due?

La sintesi è che il cda pubblicherà degli avvisi per manifestazione di interesse da parte delle imprese. E che, in ogni caso, sia per decisione degli Stati, sia per decisione stessa di Telt, se in un momento successivo questi bandi non avessero seguito le imprese non potranno pretendere il risarcimento dei danni.

Questi bandi sono qualcosa di diverso da quanto si era deciso di pubblicare?

Stando a quanto scrive Telt sembra di sì per quanto riguarda la cosiddetta clausola di dissolvenza. Si è parlato molto di questa procedura ed è bene sottolineare che è una clausola di difficile applicazione già sui bandi tradizionali. Secondo il diritto francese perché sia applicata sono richiesti due presupposti: la sopravvenienza di motivi pubblici non prevedibili, e la causa di forza maggiore. Quindi sono ipotesi che vanno dimostrate, anche se in astratto si potrebbe dire che se entrambi i governi cambiassero idea si giungerebbe all’applicazione della clausola. Ma se la chiede solo una parte è praticamente impossibile: Telt è una stazione appaltante regolata da un accordo bilaterale italo-francese, accordo che dice che la sua attività deve essere sotto il regime comune delle due parti.

Professore: lunedì usciranno dei bandi con un altro nome?

Sembrerebbe di sì. Avvisi di manifestazione di interesse, ovvero una fase esplorativa. Riguardano i lotti sul territorio francese.

Capriola semantica o procedura?

La risposta potremo darla solo quando pubblicheranno gli avvisi, fondamentale sarà l’oggetto per capire se è una ricerca o un atto che impegna verso le imprese. Se si varca quel confine, se non sarà una semplice ricerca esplorativa ma assimilabile a una promessa, sarà poi difficile negare all’impresa che risponde un eventuale risarcimento se non ci sono ragioni valide per interrompere la procedura. Non è solo questione terminologica: sarà il contenuto e l’impegno assunto da Telt verso le imprese a far comprendere quale strada ha preso il Tav.

I trecento milioni sono quindi sicuramente nella cassaforte italiana. E’ un vincolo?

Con questa lettera i trecento milioni di contributo non sono persi ma incamerati. Occorrerà capire tramite Inea, l’Agenzia dell’Ue con la quale si è concluso il Grant Agreement nel 2015, che cosa si potrà e non si potrà fare con quelle risorse. Vale però un principio intuitivo: più si va avanti più sarà difficile imporre e motivare uno stop.

Il Tav è più vicino o lontano?

Politicamente è instabile. Conte esprime la volontà di una «piena reversibilità» di qualunque attività giuridica o scelta operativa posta in essere. Secondo la Francia sembra più vicino. La ministra Borne sarà soddisfatta, anche se va detto che non è ancora chiaro se abbiano stanziato, a bilancio, le risorse necessarie per la costruzione dell’infrastruttura. Il Tav, al di là delle dichiarazioni roboanti, non è una loro priorità, come si desume in maniera chiara dai loro organi tecnici.

Cosa pensa del referendum che il presidente Chiamparino chiede a gran voce?

Referendum: la parola stessa è inappropriata, giuridicamente non corretta. Si tratta semplicemente di un modo non vincolante sul piano giuridico, di tipo politico, di coinvolgere non si sa nemmeno quali soggetti a esprimersi, e non certo a decidere non si comprende bene che cosa.