Sono le vittime troppo spesso dimenticate del conflitto siriano. Uomini, donne e bambini, intere famiglie costrette ad abbandonare le proprie case per sfuggire i combattimenti, le vendette, le rappresaglie compiute dalle truppe fedeli a Bashar al-Assad o dai ribelli. Vittime di tutti gli schieramenti. Ormai sono quasi due milioni i siriani che in oltre due anni di guerra civile sono fuggiti cercando un rifugio più sicuro all’estero. Secondo i calcoli dell’Unhcr, l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati che quotidianamente aggiorna le statische, i profughi siriani a oggi sono precisamente 1.966.228, e di questi 1 milione sono bambini. «Con l’escalation del conflitto, la Siria potrebbe trovarsi sull’orlo dell’abisso», ha detto due giorni fa l’Alto commissario Antonio Guterres lanciando l’ennesimo allarme. «Questa guerra ha dato avvio a una crisi umanitaria senza precedenti nella storia moderna. Quando una guerra spazza via una nazione, non ci può essere niente di più importante per la popolazione che l’apertura dei confini», ha proseguito Guterres.
E’ esattamente quello che è successo. Centinaia di migliaia di persone si sono riversate oltre il confine più vicino portandosi appresso tutto ciò che potevano trasportare. Un esodo lento che ha svuotato le città e compiuto portando in spalla o a bordo di un mulo un sacco con le proprie cose: in 515.512 sono fuggiti in Giordania, 458.837 in Turchia, 708.000 in Libano 159.503 in Iraq, 110.000 in Egitto. I più fortunati, se così si possono definire, hanno trovato posto in tendopoli, container, scuole o moschee, ovunque sia stato possibile stendere una coperta e allestire una mensa. Tutti gli altri, e sono la maggioranza, ben il 65% del totale dei profughi, si è disperso in case prese in affitto, abitazioni di amici o parenti, situazioni solo apparentemente migliori di un campo. Sempre l’Unhcr, infine, calcola in 4 milioni gli sfollati all’interno della stessa Siria.
Cifre che sono benissimo in gradi di mettere in difficoltà anche il Paese più bendisposto all’accoglienza. Come è successo solo pochi giorni fa a Erbil, nel Kurdistan iracheno, dove l’arrivo praticamente in massa di quasi 40 mila profughi ha rischiato di mandare in tilt gli aiuti e costretto l’Onu a organizzare in tutta fretta un volo charter per portare altre 340 tende per famiglie che sono andate ad aggiungersi a quelle già presenti, insieme a 42 tonnellate di biscotti ad alto contenuto energentico e a 15 tonnellate di speciali barrette nutritive. E il governatore di Erbil ha chiesto di cotruire un nuovo campo per i rifugiati, anche in vista di nuovi possibili arrivi, e di attrezzarlo in maniera adeguata visto l’avvicinarsi dell’inverno.
Quello vissuto dai bambini, poi, è un dramma nel dramma. Il 23 agosto scorso l’Onu ha annunciato che era stato raggiunto quello che giustamente ha definito «il vergognoso traguardo di un milione di bambini siriani rifugiati», soglia che ormai sarà stata superata. «Non si tatta solo di un numero», ha dichiarato nell’occasione il direttore esecutivo dell’Unicef, Antony Lake. «Il milionesimo bambino è un bambino reale, strappato alla propria casa, forse anche alla propria famiglia e costretto ad affrontare orrori che noi possiamo comprendere solo in parte». Di questo milione di piccoli profughi, ben 740 mila hanno meno di 11 anni e 3.500 di loro hanno attraversato il confine senza genitori o parenti. Due milioni sono invece i bambini sfollati all’interno del Paese e circa 7.000 quelli rimasti uccisi.
L’acuirsi della guerra civile e la possibilità, sempre più concreta di un intervento militare internazionale non fanno che peggiorare di ora in ora la situazione. Il che aumenta ulteriormente i già alti costi degli interventi umanitari, rendendo necessari nuovi fondi. L’Unhcr ha già fatto appello ai Paesi donatori di mettere mano al portafogli. Da parte sua ieri il ministro degli Esteri Emma Bonino ha annunciato che il prossimo decreto missioni potrebbe essere l’occasione per intervenire in tal senso: «Il decreto è spesso accompagnato da linee di bilancio umanitarie e di cooperazione – ha detto Bonino -. Credo che su questo dovremmo fare i conti per misurci su quello che in governo e in parlamento siano disposti a fare».