Quasi 500 milioni di euro subito, più altri dieci miliardi entro il 2021. Comincia con un conto stratosferico la corsa agli armamenti di Berlino per equipaggiare esercito, marina e aeronautica rimaste a corto di mezzi e perfino di pezzi di ricambio.

Una vera e propria lista della spesa, allegata alla richiesta di copertura finanziaria che la ministra della difesa Ursula von Der Leyen farà al governo Merkel già nei prossimi giorni. Acquisti urgenti, inderogabili, dettagliati in diciotto «prodotti» indispensabili per mantenere lo standard operativo imposto dalla Nato quanto a onorare la promessa di riarmo della Bundeswehr prevista nel contratto di coalizione sottoscritto da Cdu, Csu e Spd.

DAL NOLEGGIO per 9 anni dei droni israeliani (in attesa dello sviluppo del nuovo modello europeo) agli aggiornamenti per gli elicotteri da guerra, passando per voci che sommate restituiscono il costo finale di 450 milioni. Si aggiungono ai 10 miliardi per il rinnovo delle forze armate negoziati da Merkel e Schulz a febbraio e andranno inseriti nella redazione del bilancio 2018 che il governo si appresta a varare. In totale, entro dicembre, il costo dello “sforzo” bellico tedesco ammonterà a 39 miliardi, due in più che nel 2017. Fra impegni arretrati e commesse future significa la quota 42,4 miliardi nel 2021, quando terminerà la legislatura della Grande coalizione.

Corrisponde al 1,1% dell’enorme Pil della Bundesrepublik: poco per Donald Trump che ha chiesto a Merkel di raggiungere il 2% imposto a tutti gli alleati della Nato, e largamente insufficiente secondo la Confindustria tedesca, sempre ansiosa di vendere il made in Germany dipinto di verde oliva. «Solo l’1,13 per cento della produzione economica è andata al settore delle armi, ben al di sotto dell’obiettivo concordato tra i membri dell’Alleanza atlantica».

In realtà, i miliardi richiesti da von der Leyen servono soprattutto a ripristinare la minima capacità operativa delle forze armate, nel tentativo di «migliorare la situazione materiale» come ha auspicato ieri mattina a Berlino il portavoce del ministero della difesa, Holger Neumann.

RISOLLEVARE L’ESERCITO dalla condizione «da scandalo» denunciata dall’opposizione al Bundestag dopo la pubblicazione del report (riservato agli Stato maggiori) che certificava, senza mezzi termini, la clamorosa obsolescenza della Bundeswehr. Da qui l’acquisto dei nuovi serbatori per gli elicotteri «Puma» quanto di tutto ciò che serve a far girare le pale dei costosi «Nh-90» ma anche gli strumenti per le missioni all’estero, come il contratto decennale per i droni modello «Heron» dotabili con armi di bordo fabbricati da Tel Aviv.

In Parlamento la Groko ha certo i numeri per votare il bilancio contenente la nuova manovra militare, mentre dalle fila dell’opposizione è assicurato l’appoggio dei liberali di Fdp, che vogliono vedere il budget per le armi crescere almeno fino al 2024, quanto dei fascio-nazionalisti di Afd pronti alla ricostruzione della potenza sovrana e indipendente.

Resta il muro di Linke e Verdi, con i primi impegnati a disarmare la Germania e i secondi a disimpegnare Berlino sul fronte della Nato.

Difficile, tuttavia, fermare il business immune a qualunque minaccia e resistente anche al protezionismo di Trump: il 5 aprile il Congresso Usa ha approvato il deal tra Berlino e Washington di 2,5 miliardi di euro per 4 droni «MQ-4C Triton» più le relative «stazioni di controllo missione». Un affare per l’americana Northrop-Grumman e per l’europea Airbus-Difesa che figurano nell’appalto, così come per le aziende tedesche che monteranno i dispositivi per la ricognizione avanzata sugli aerei senza pilota.

IN PARALLELO, come dimostra il recente scandalo dei carri armati tedeschi venduti alla Turchia utilizzati contro i curdi, continua l’export denunciato dalla Linke a fine gennaio: negli ultimi 4 anni, 25 miliardi di armi prodotte di Germania girate ad Arabia Saudita, Emirati Arabi ed Egitto, cioè gli Stati-canaglia della guerra in Yemen.