Sinistra chi titolava il manifesto sabato scorso, e nessun titolo potrebbe ritrarre meglio la situazione in cui la sinistra italiana (noi tutti) e il paese versano per l’ennesima volta in questo complicato frangente. Anche solo uno schematico elenco dei motivi di preoccupazione esorbiterebbe dai confini di un breve intervento. Limitiamoci quindi alle considerazioni essenziali.

Nel parlamento italiano siede un solo partito di sinistra, Sel, entrato nel febbraio scorso dopo un’intera legislatura (la prima della storia repubblicana) senza rappresentanze della sinistra politica. Ma Sel è un piccolo partito, che le scelte del Pd mettono in condizione di non incidere sulla condotta del governo. Di fatto, le forze politiche della sinistra sono ininfluenti (e non di rado silenti) sulla scena politica nazionale.

La nuova legge elettorale che il parlamento si appresta a discutere – un porcellum-bis – ha lo scopo, tra gli altri, di perpetuare questo ostracismo. Il combinato tra sbarramenti e premio di maggioranza mira, oltre che a blindare lo schema bipolare (di fatto bipartitico, nel segno dell’oltranzismo veltroniano del giovane segretario fiorentino), a stabilizzare al centro l’asse dei futuri governi. Come sempre, l’ingegneria bipolarista ha uno scopo molto concreto, mal dissimulato dal mantra della governabilità: garantire gli interessi della finanza, dei ceti abbienti e delle lobbies imprenditoriali, burocratiche e professionali. Quando Berlusconi rivendica euforico la paternità della «riforma» dice il vero, benché pecchi d’ingratitudine nei confronti dei tanti capi «democratici» che, ben prima di Renzi, lo hanno generosamente beneficato.

Sul piano sindacale l’urto interno alla Cgil sull’intesa del 10 gennaio rischia di indebolire il sindacato di categoria – la Fiom – che più di ogni altra organizzazione ha costituito in questi anni un argine materiale e simbolico contro la prepotenza delle imprese. In pericolo non sono soltanto diritti di libertà individuali e collettivi, né – aspetto sul quale troppo spesso si sorvola – il rango costituzionale del diritto del lavoro. È in gioco anche il ruolo che il più importante sindacato italiano è chiamato a svolgere in questi anni cruciali.

Intanto il governo dà prova di un estremismo antisociale senza precedenti, facendosi come sempre scudo della crisi e del debito per sottrarre ricchezza alla collettività (Poste ed Enav, per cominciare) e regalarla alle banche (decreto Bankitalia). Il tutto mentre il paese scopre l’ultimo record negativo (oltre 500 miliardi di crediti dello Stato non riscossi) dopo quelli per così dire classici dell’evasione fiscale e contributiva, della pressione fiscale sul lavoro comandato, dei bassi salari, della corruzione e del gioco d’azzardo. L’assenza della sinistra si misura anche dal vertice di iniquità che l’Italia ha raggiunto nel giro di vent’anni, dopo essere stata un «caso» per l’intensità della dinamica progressiva.

In questo scenario si pone la frammentazione della sinistra italiana in vista delle europee di maggio. Il quadro è noto. Sel prevede di andare con il proprio simbolo, per non sganciarsi dal Pse (e dal Pd). Rifondazione, dall’alto del suo zero-virgola, minaccia di imitarla, confermando la spirale settaria in cui da cinque anni virtuosamente si avvita. Con piena ragione Alexis Tsipras addita l’esperienza di Syriza. Che insegna come in tempi di crisi e di catastrofe sociale sia di sinistra «ciò che unisce e non divide». E rammenta che cambiare quest’Europa della disuguaglianza, della disoccupazione e della povertà sarà possibile «solo se facciamo tutti insieme un passo indietro, per muovere tutti insieme molti passi in avanti».

Ma la sua rischia di essere una voce nel deserto. E la sinistra italiana minaccia di rimanere per la seconda volta fuori dal parlamento europeo, proprio mentre l’Europa diventa il baricentro della politica di ogni paese dell’eurozona e si affaccia il pericolo concreto di un revanscismo neofascista e razzista. Sembra per alcuni versi un déjà vu. Anche negli anni Venti si discuteva duramente tra settari e unitari, sostenitori di un «fronte unico» contro la marea fascista. Con la differenza che oggi questa discussione avviene in ordine sparso, nel più generale disorientamento delle forze.

Di fronte a questo scenario una cosa va forse aggiunta in margine alla “Lettera aperta sull’Europa” che questo giornale ha pubblicato un mese fa. È indubbio che le autorità comunitarie hanno grandi colpe nell’attuale catastrofe sociale. Che i governi italiani succedutisi dagli anni Novanta sono responsabili di una grave regressione sociale, civile e morale. Che la «grande stampa» ha assecondato e legittimato tale deriva, c’è da temere foriera di ulteriori scempi. Ma tutti questi poteri hanno spesso trovato, e trovano tuttora, preziosi alleati tra i dirigenti della sinistra. I quali, asserragliati ciascuno nel proprio particolarismo, hanno sistematicamente impedito, nel non breve arco di questi ultimi vent’anni, la formazione di una forza di massa a difesa del lavoro, della pace e della democrazia.

Eppure forse basterebbe poco per avere una sinistra unita e forte anche in Italia oggi come in tutta Europa. Basterebbe, nei movimenti e nelle retrovie delle organizzazioni, più fiducia in sé. Molti – più di quanti non appaia – già lavorano per una sola lista per Tsipras presidente, quindi per un percorso comune contro il neoliberismo. Vanno sostenuti senza remore perché operano contro le divisioni che ci ammutoliscono. E perché rappresentano, sin d’ora, la stragrande maggioranza di noi tutti.