Ci saranno nuove guerre commerciali? Donald Trump ha imposto dazi punitivi sulle importazioni di acciaio e alluminio negli Stati uniti e, in caso di ritorsioni europee, minaccia di colpire le importazioni di automobili, un’azione che danneggerebbe soprattutto Germania e Italia. È troppo presto per dire se effettivamente le minacce saranno messe in pratica: a Washington le resistenze, sia politiche che lobbistiche, sono molto forti perché molti più operai lavorano in aziende che usano acciaio e alluminio, danneggiate dai dazi, di quanti ne lavorino nelle aziende che producono questi metalli e che sarebbero favorite dagli ostacoli alla concorrenza straniera.

Le analisi e i commenti sulle roboanti dichiarazioni di Trump («Le guerre commerciali sono facili da vincere») hanno però trascurato un fattore chiave: oggi si vota in Pennsylvania, in una circoscrizione della Camera alla periferia di Pittsburgh, un tempo capitale dell’acciaio. E qui, dove i repubblicani hanno vinto le ultime otto elezioni consecutive e i democratici nel 2016 neppure presentavano un candidato, tira una pessima aria per il partito al potere.

La difesa dei posti di lavoro nell’industria di Pittsburgh (illusoria ma politicamente popolare tra i lavoratori bianchi che hanno votato Trump) è la ragione del tempismo nell’annuncio dei dazi, fatto dal presidente senza un’approfondita analisi della questione, senza valutare le conseguenze e senza consultare i collaboratori, al prezzo di perdere il suo principale consigliere economico, Gary Cohn, che si è dimesso.

Le elezioni di oggi riguardano un solo seggio sui 435 della Camera e chi viene eletto resterà in carica soltanto fino alle prossime elezioni in autunno ma, psicologicamente, sono importanti perché i repubblicani temono una disfatta elettorale il 6 novembre. Una sconfitta in questa circoscrizione, dove Trump vinse con il 58% contro il 39% a Hillary Clinton, sarebbe percepita come il segnale di una quasi certa perdita della maggioranza quando si voterà per l’intera Camera e per un terzo del Senato.

I prossimi due mesi sono decisivi: già nelle scorse settimane molti deputati repubblicani uscenti hanno annunciato che non si ripresenteranno e in questi giorni sono iniziate le primarie per la scelta dei candidati dei due partiti. Il risultato del duello di oggi in Pennsylvania sarà importante per la capacità dei candidati di raccogliere fondi (chi vince ovviamente è facilitato nel trovare finanziatori) e per lo sforzo di mobilitare i sostenitori: una vittoria del partito in una circoscrizione in bilico incoraggia gli elettori a recarsi effettivamente alle urne in novembre, quando il tasso di partecipazione è in genere molto basso, tra il 35 e il 40% degli aventi diritto.

Il motivo per cui i repubblicani, e lo stesso Trump, hanno messo mano all’artiglieria pesante in questo angolo delle montagne della Pennsylvania è il fatto che la 18° circoscrizione doveva garantire una vittoria sicura al loro candidato Nick Saccone, mentre i sondaggi dicono che un democratico giovane e carismatico, Conor Lamb, ha serie possibilità di vincere. Il che sarebbe come se il Molfetta vincesse in casa della Juventus.

Lamb è ex Marine ed ex procuratore federale; si è espresso contro maggiori controlli sulla vendita delle armi da fuoco e ha fatto del suo meglio per presentarsi come un candidato assolutamente centrista, tentando di cavalcare il desiderio di rivincita degli elettori democratici ma nello stesso tempo di capitalizzare lo scontento di molti elettori repubblicani verso Trump. Riuscirà nell’impresa?

I democratici sono ottimisti perché la base del partito andrebbe a votare anche a piedi nudi nella neve degli Appalachi pur di fare uno sberleffo al detestato usurpatore della Casa Bianca (Hillary Clinton ottenne circa 3 milioni di voti più di Trump, eletto solo grazie al barocco e antidemocratico meccanismo di elezione di secondo grado). Le loro speranze sono sostenute dagli ottimi risultati nelle elezioni parziali del 2017, dal Montana alla Georgia e dal Kansas all’Alabama: ovunque si è registrato un forte spostamento di suffragi a favore dei democratici, che non è stato sufficiente per vincere, se non in Alabama, ma che è stato il segnale di una nuova competitività del partito.

La posta in gioco è la riconquista della maggioranza alla Camera nel prossimo novembre: un successo che paralizzerebbe la presidenza Trump per i prossimi due anni, impedendogli di fare troppi danni. I democratici hanno bisogno di conquistare 25 seggi nonostante le manipolazioni delle circoscrizioni e i tentativi di limitare il diritto di voto attuati con successo dai repubblicani negli anni scorsi. È un obiettivo alla loro portata ma c’è bisogno di continuare a cavalcare quella che sembra un’onda favorevole. Dal canto loro i repubblicani faranno l’impossibile pur di impedirlo, compreso manipolare la politica commerciale verso il resto del mondo a fini sfacciatamente politici e locali. Domani sapremo chi avrà avuto ragione.