La vicenda delle firme dei radicali (risolta dall’arrivo, come un deus ex machina, del buon Tabacci) è solo l’ultima espressione dell’incredibile miscela di arroganza e superficialità con cui il Pd ha condotto la vicenda della recente riforma elettorale. Si sbaglierebbe tuttavia a ridurre il tutto ad una questione di imprevidenza e pressapochismo. Il groviglio di contraddizioni in cui il Pd si trova impaniato nasce, innanzi tutto, dall’adozione di analisi e di schemi “ideologici” che portano poi a valutazioni politiche clamorosamente dissonanti con la realtà dei processi politici.

Il Pd pensava che immettere una “dose” di maggioritario avrebbe creato problemi, in primo luogo, al M5S e messo in un angolo la lista alla sua sinistra. Ebbene, ci si ritrova ora di fronte ad un dato: il centrodestra è in grado di costruire una coalizione molto ampia e forte, il Pd no. Non solo: sulla base delle più attendibili simulazioni, difficilmente il Pd, e i suoi alleati, riusciranno ad ottenere nei 231 collegi uninominali maggioritari quegli stessi seggi che avrebbero potuto tranquillamente ottenere sulla base di un sistema interamente proporzionale. Un bel risultato, davvero. Ed è inutile che analisti e commentatori ora si esercitino nelle stucchevoli lamentazioni sulle divisioni del centro-sinistra: anche loro avrebbero potuto pensarci prima, anziché, spesso, fare da coro alle grandi intuizioni del capo.

Ma, al di là delle convenienze immediate, questo sistema elettorale sta producendo già un dato politico, che certo non si rivela positivo per l’intero assetto democratico italiano: sta ricompattando il blocco elettorale della destra, regalando a Berlusconi l’incredibile immagine del vero “argine” contro populisti e nazionalisti. Un sistema proporzionale avrebbe invece favorito e accentuato la distinzione tra una destra nazionalista e xenofoba e una destra conservatrice più moderata ed europeista. Anche questo risultato va messo sul conto della genialità strategica del Pd.

Ora naturalmente cercheranno di rimediare, e quindi dovremo aspettarci una campagna tutta giocata sul “pericolo” della destra, e sul leit-motiv del voto utile.

Tutto ciò pone non pochi problemi anche a Liberi e Uguali, imponendo un’attenta calibratura del tono che darà al suo discorso. Decisiva sarà la capacità che avrà di affermare la propria agenda programmatica e di non subire quella che gli altri tenteranno di imporre.

Siamo alle prime battute della campagna elettorale, ed emergono già anche alcune insidie, che possono indebolire le potenzialità espansive della lista.

Possiamo immaginare il tormentone che caratterizzerà tutti i talk-show televisivi o le interviste sulla stampa, ma poi anche i discorsi quotidiani: «ma voi di LeU, cosa farete dopo le elezioni? Dialogherete con il Pd? O con il M5S?». È bene che a queste domande, spesso fastidiose e petulanti, sia data una risposta univoca e semplice, su cui tutti si sintonizzino, sfuggendo alle trappole verbali di un politicismo che allontanerebbe gli elettori.

Il crinale lungo cui deve muoversi Leu è sottile, e le difficoltà obiettive: bisogna caratterizzare il messaggio politico in modo aperto e unitario, sottrarsi al rischio che questa lista sia marchiata come l’espressione di una sinistra minoritaria; ma, nello stesso tempo, offrire un’alternativa credibile ai molti elettori che sono fuggiti dal Pd e che non hanno alcuna intenzione di tornare a casa (e che anzi sospettano che ci possa essere in futuro un qualche “ritorno a casa”). Non è facile tenere insieme i due poli di questo dilemma, ma è necessario.

Per venirne a capo bisogna sgomberare il campo da alcuni possibili equivoci: poiché non sono possibili, né politicamente né tecnicamente, forme di appeasement tra il Pd e LeU, sarà inevitabile una dura competizione con il Pd, collegio per collegio, anche a partire dalla definizione territoriale delle candidature. Ma questo non significa affatto che la campagna elettorale di LeU debba essere dominata dalla polemica contro il Pd: significherebbe cadere nella trappola che il Pd ha immaginato di tendere quando ha concepito questa folle legge elettorale. E sarebbe anche poco efficace: si rischierebbe di ricacciare tra le braccia del Pd elettori dubbiosi e incerti.

Al contrario, LeU deve rivolgersi all’elettorato in modo unitario, positivo e propositivo: il voto a LeU è il vero “voto utile”, innanzitutto, per ridare voce e forza ai valori e alle idee della sinistra, e poi per fermare la deriva moderata e trasformista del Pp. E alle domande, di cui sopra, sul “dopo”, occorre rispondere in modo semplice: si vota con un sistema elettorale in gran parte proporzionale, e quindi la futura forza parlamentare di LeU sarà spesa nella ricerca delle soluzioni più innovative e più avanzate possibili, sulla base dei rapporti di forza che si creeranno in Parlamento, e sulla base del programma, escludendo ogni accordo con la destra. Anche con un sistema proporzionale, bisogna ricordarlo, il “voto utile” conta: e gli elettori, anche quelli di sinistra, votano molto più volentieri per una forza in grado di contare e di pesare; non per una forza che si autoconfini, da sé e in partenza, in una posizione ininfluente. Ed è per questo che è necessaria una presenza forte e autonoma della sinistra in Parlamento: una vittoria della destra si può impedire solo se vi sarà una forte partecipazione, se elettori di sinistra altrimenti propensi all’astensione tornano alle urne. È qui la vera partita.