Le donne devono riappropriarsi dei loro diritti, inclusi quei poteri misteriosi che da sempre sono stati nostri e che nel corso del tempo gli uomini hanno violato, rubato o distrutto». Così scriveva Leonora Carrington, artista e scrittrice nata a Lancaster nel 1917 e morta a Città del Messico nel 2011.
È a lei, figura outsider che ha radicato il suo immaginario nel Surrealismo, con un bagaglio seducente di universi in trasformazione continua fra il fiabesco e il leggendario, che la 59/a Esposizione internazionale d’arte di Venezia (23 aprile – 27 novembre) rende omaggio fin dal suo titolo Il latte dei sogni. Riecheggia quella prodigiosa raccolta di racconti onirici (in Italia pubblicata da Adelphi) intessuta di creature ibride, meravigliose e spaventevoli tanto che, disegnate sulle pareti di casa in Messico da Carrington, provocavano moti di sano terrore nei bambini. Una sfilata di «esseri imprevisti», come il piccolo George a cui cresceva una casa al posto della testa.

LA CURATRICE della Biennale Arte, Cecilia Alemani, chiamata a questo compito due anni fa dall’ex presidente Paolo Baratta, non ha avuto dubbi. Se nel 2017 aveva allestito il padiglione Italia circumnavigando il Mondo magico (quest’anno, al timone ci sarà Eugenio Viola), la pandemia che ha attraversato il pianeta mutandone i connotati e la percezione, ha segnato ancora più profondamente la rotta «anti-illuminista», deviando dall’ottimismo del progresso.
Due anni rinchiusi in confini imposti, spostamenti impossibili, tanto lavoro nella stanza di New York, infiniti talk con le artiste e gli artisti («condividevo con loro un’intimità da fine del mondo») fino all’incontro consapevole con la fragilità umana e psichica. Alemani riparte da qui, da quel corpo umano che soggiace alle intemperanze della natura, anche se invisibili come un virus. E apre alle altre specie, imbastendo tra Padiglione centrale, Arsenale e Corderie un dialogo che spiazza l’arroganza antropocentrica e interroga tutte le forme di vita. Anche la storia rimodula la sua narrazione, attraverso contro-racconti ed evidenziando le sorprese dei sentieri collaterali.
«Le domande di questa mostra si sono sviluppate all’interno della pausa e lo iato che abbiamo vissuto», spiega in conferenza stampa alla presenza del presidente Roberto Ciccuto (che la ringrazia per il lavoro svolto, per aver guidato College Arte – i cui quattro vincitori sono sparpagliati nelle sedi ufficiale – e per lo sguardo intrecciato e trans-temporale che include, con prestiti importanti, le fonti dirette di autrici, autori, non binari contemporanei).

SONO MOLTISSIME LE ARTISTE scelte per testimoniare questa trama, numerose provenienti da paesi più marginali rispetto alle scene del mercato, nel tentativo di invertire la mappa della colonizzazione culturale. A loro è affidata la lettura di quel complesso border tra umano e non umano, tra realtà e fantastico – c’è anche la scrittrice Ursula LeGuin fra le «muse» dell’itinerario espositivo così come Rosi Braidotti con le sue indagini sul postumano e le ibridazioni con dispositivi tecnologici – tirando le fila di una rappresentazione che troppo spesso ha dimenticato di affondare nella terra e la sorellanza con altri esseri viventi. Inoltre, la mostra è costellata di «capsule del tempo», scrigni storici del farsi macchina, del linguaggio esploso, dell’incanto magico – spiritato e spirituale – che poi si diramano nel percorso attuale, alternando lavori storici con produzioni contemporanee, site specific.

L’«INIZIAZIONE» è al padiglione centrale con La culla delle streghe di Maya Deren in collaborazione con Duchamp: capolavoro incompiuto che «celebra il dominio del meraviglioso e narra di corpi disubbidienti», mentre l’Arsenale inaugura la sua passeggiata con la cubana Belkis Ayón che esplora le tradizioni dell’abakuà. In mezzo, le artiste e gli artisti cibernetici, i visionari con allucinazioni mistiche, i medium, gli oggetti usati per le lezioni sul corpo dalla prima laureata in medicina in Olanda, Aletta Jacobs, l’omaggio a Mirella Bentivoglio e alle artiste che nel 1978 parteciparono alla sua Materializzazione del linguaggio presso i Magazzini del Sale, la metamorfosi kafkiana di Paula Rego.

 

SCHEDA

In questa Biennale arte che si gioca la carta della neutralità carbonica, come ha spiegato il presidente Ciccuto, sono presenti 213 «ospiti» provenienti da 58 nazioni – 26 italiani, 180 prime partecipazioni, 1433 le opere, 80 le nuove produzioni. 80 anche i padiglioni nazionali tra Giardini e altre sedi , con cinque paesi new entry: Repubblica del Camerun, Namibia, Nepal, Sultanato dell’Oman e Uganda. A Forte Marghera ci sarà il progetto di Elisa Giardina Papa, mentre Sophia Al-Maria lavorerà sugli automi del V&A) nel Padiglione delle Arti Applicate, all’Arsenale. L’identità grafica delle pubblicazioni è dello studio A Practice for Everyday Life, Londra.