Per oggi la comunità palestinese di Roma e del Lazio ha promosso un sit-in davanti alla direzione generale della Rai, in viale Mazzini 14 a Roma, per protestare contro la disinformazione sulla drammatica vicenda palestinese.

La Palestina, infatti, pur evocata e riconosciuta come osservatore dalle risoluzioni delle Nazioni unite nonché dall’Unesco, è spesso relegata ai margini della narrazione giornalistica, anche del servizio pubblico. Che, in base al contratto di servizio che ne regola l’attività, dovrebbe seguire con attenzione le indicazione che emergono dal consesso internazionale.

Eppure lo striminzito spazio concesso ai palestinesi è per lo più di secondo grado, vale a dire residuale rispetto al timone delle notizie, ovvero Israele. Il buono e il cattivo.

Si tratta di un’apartheid mediatica, la cui portata va ben al di là della Rai, benché quest’ultima abbia un tratto peculiare, essendo presieduta da quel Marcello Foa che non ha mai nascosto il suo esplicito appoggio senza se e senza ma ad Israele, tanto che a Tel Aviv tenne la sua prima conferenza all’estero nella funzione apicale attuale. Le opinioni sono sempre legittime, ma il ruolo pubblico dovrebbe temperarle.

A proposito, Tel Aviv è notoriamente la capitale del paese, a prescindere dai programmi elettorali autoritari del presidente statunitense Trump e del premier israeliano – variamente inquisito – Netanyahu. Velleità, peraltro, criticate da numerosi paesi del villaggio globale.

Tuttavia, magari proprio per una sorta di compiacimento “ambientale”, il conduttore de L’eredità, il preserale della prima rete condotto da Flavio Insinna, ha corretto nell’edizione dello scorso 21 maggio la concorrente a proposito della domanda sulla capitale di Israele: Gerusalemme, non Tel Aviv, secondo qualche autore dei quiz.

La brutta sortita frutto, a essere proprio ottimisti di ignoranza, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. La comunità palestinese si è ribellata e ha scritto una lettera assai aspra alla Rai e alla commissione parlamentare di vigilanza. E sta per essere depositata un’interrogazione parlamentare al riguardo.

Del resto settanta deputate e deputati si sono rivolti al presidente del consiglio Conte perché l’esecutivo italiano faccia sentire la sua voce contro la decisione di Netanyahu e Gantz di sottoporre alla Knesset (l’assemblea rappresentativa) l’annessione di vari territori della Cisgiordania.

Ennesima provocazione, che segue numerose iniziative omologhe di un colonialismo senza limiti. Basti raffrontare la carta geografica del 1967 con l’odierna striscia striminzita e a pelle di leopardo lasciata alla Palestina. Ogni annessione è illegale, sotto il profilo delle convenzioni in vigore. E, sotto la superficie dei confini, stanno angherie, persecuzioni, detenzioni “amministrative” immotivate, incarcerazione di minori, persino torture.

Di tutto ciò una corretta informazione dovrebbe parlare con cura, essendo quel quadrante del mappamondo un elemento decisivo per la pace. Non si è in polemica, ovviamente, con il popolo ebraico. Ma con il governo israeliano, che se la batte con Orbán a chi è l’ala estrema della destra mondiale.

Contro l’ultima iniziativa si sono pronunciati criticamente il segretario generale dell’Onu Guterres, l’Alto rappresentante per la politica estera europea Borrell, la Lega araba.

Il rischio è serio e concreto. Ogni residuo tentativo di accordo verrebbe travolto dalla aberrante logica di affermare il carattere teocratico di Israele, fuori da qualsiasi norma internazionale e regolazione assunta dai luoghi ufficiali della diplomazia. Da ultimo, dal Consiglio affari esteri dell’unione europea tenutosi il 15 maggio.

Esiste, dunque, un enorme problema di par condicio, da salvaguardare contro le ingerenze di lobby politiche prepotenti. Cominci a cambiare la Rai, rettificando il colpevole e simbolico errore commesso in un quiz.