Nel 1957 Bruno Trentin scrisse a Palmiro Togliatti dopo che il segretario del Pci in un suo intervento al Comitato Centrale aveva detto che il sindacato non doveva pretendere di avere voce in capitolo sulle trasformazioni tecnologiche delle imprese, ma limitarsi alle politiche salariali, viste come l’unico modo a disposizione del sindacato per condizionarne le scelte delle imprese.

Trentin manifesta molto apertamente il suo dissenso. Sottrarre al padrone la possibilità di decidere unilateralmente sugli indirizzi, le modalità, i tempi di realizzazione dei cambiamenti tecnologici e organizzativi è fin da allora per lui il compito fondamentale del sindacato. Quello fondativo della sua autonomia. Perché quelle scelte decideranno delle condizioni di vita delle persone che lavorano, hanno a che fare con gli spazi di libertà che vanno conquistati e difesi anche all’interno della fabbrica capitalista.

Trentin è consapevole fin da allora di dover fare i conti con una tradizione di lungo periodo dei partiti della sinistra, sia rivoluzionari che socialdemocratici, che vedevano nel fordismo il modo più razionale di organizzare la produzione. Lenin stesso vedeva nel fordismo «la forma superiore di cooperazione capitalistica che ha raggruppato e disciplinato il proletariato sulla base del comune lavoro da svolgere». Fino a distinguere il lato sfruttatore del capitalismo da quello organizzatore.

IL TEMA DELL’ALIENAZIONE, dell’espropriazione dell’intelligenza, del corpo e della mente del lavoratore, nella fabbrica capitalistica, ben presente nell’elaborazione di Marx, veniva accantonato, e ci si concentrava esclusivamente sul plusvalore. In questa visione il ruolo del sindacato non poteva che essere solamente redistributivo e la liberazione del lavoro veniva rimandata ad un tempo indefinito, comunque successivo alla presa del potere statuale, per via democratica o per via rivoluzionaria.

ANCHE IL GRAMSCI di «americanismo e fordismo» non esce da questa tradizione. Trentin cercherà altrove i suoi riferimenti. Karl Korsch, l’austro marxismo, Otto Bauer, Karl Polany, e oltre il marxismo il personalismo cristiano francese e la straordinaria figura di Simone Weil che per capire e vivere il lavoro si fa operaia, e descriverà l’orrore della fabbrica fordista. E che vedrà nella mancanza di libertà e di diritti nella fabbrica l’incubatore dei totalitarismi del Novecento, da quello hitleriano a quello stalinista.
Il suo impegno per l’unità sindacale sarà basato proprio per questo su un confronto non solo di tattiche e di strategie ma di valori, a partire da quello fondamentale: come strappare nel presente, senza aspettare una sempre più improbabile transizione, il massimo di autonomia, di dignità e di libertà per la persona che lavora. Sapendo che nessuna tradizione ideologica ha le carte in regola per affrontare da sola questo nodo.

QUESTO LO PORTERÀ a un dialogo sempre più stretto con il mondo cattolico impegnato a portare nel sociale le idee e le pratiche della solidarietà. A partire dalla Comunità di Sant’Egidio, che aveva il suo centro in Santa Maria in Trastevere, dirimpettaia alla sua abitazione. Una voglia di incontro contraccambiata. Monsignor Zuppi allora parroco di Santa Maria fu protagonista di uno straordinario episodio. La cerimonia funebre per un non credente celebrata col Cardinal Silvestrini nella Chiesa di Santa Maria poco tempo dopo la morte di Bruno. Se al centro c’è la persona che lavora, la formazione, la crescita professionale e culturale dei lavoratori diventa un tema centrale. E centrale sarà per un periodo nella stessa azione contrattuale e nella pratica politica del sindacato, a partire dalla straordinaria conquista delle 150 ore per il diritto allo studio per tutti i lavoratori, a partire da quelli da questo punto di vista più svantaggiati, quelli cioè che erano entrati al lavoro senza avere conseguito l’obbligo scolastico.

La formazione per Trentin non è solo il modo, come nella formazione aziendale tradizionale, per adattarsi ai cambiamenti, al mutamento dei contenuti professionali, ma è lo strumento per diventare consapevoli dei contenuti del proprio lavoro, di dove è collocato nel ciclo produttivo, per rompere l’isolamento, per superare quella che per lui sarà sempre più la disuguaglianza fondamentale, quella fra chi sa e chi non sa.

LA FORMAZIONE è fondamentale anche nella fabbrica fordista più gerarchizzata, ma lo è ancora di più nell’economia e nella società della conoscenza, in cui il sapere diventa il fattore decisivo della produzione, l’arma fondamentale di competitività delle imprese e delle nazioni. L’importanza del sapere non attenua, ma sposta in avanti la necessità e i contenuti del conflitto. A partire dalla contraddizione fondamentale, Trentin la definirà una vera e propria schizofrenia, fra un sistema che chiede alle persone più creatività sul lavoro, ne aumenta la responsabilità personale, chiede la mobilitazione dell’intelligenza, e al tempo stesso accentua gli strumenti di controllo sul lavoro e sulla vita delle persone. Con ciò vanificando le stesse possibilità che le nuove tecnologie aprono ad un modo di produrre più cooperativo e più libero.

Per Trentin la formazione è il primo diritto del sindacato dei diritti, così lo definirà alla Conferenza di Chianciano (del 1989, ndr), il cui compito è assicurare pari dignità alle tante forme in cui il lavoro è stato frammentato. Comincia con lui un percorso che troverà un primo sbocco nella Carta dei diritti che la Cgil varerà molto tempo dopo, e che Landini consegnerà a papa Francesco per affermare il comune impegno nella difesa e nella promozione della dignità del lavoro, che è inscindibile dall’idea di ecologia integrale del Pontefice.

Ma i diritti del lavoro devono incontrarsi con i diritti nuovi che nascono nei luoghi della vita e con le culture nate fuori dalla storia del movimento operaio. Il femminismo, l’ambientalismo. Che sono essenziali a nutrire nei tempi nuovi il diritto delle persone a decidere del proprio destino. Le Camere del lavoro dovevano essere la sede di questa vasta alleanza.

IN UNA LETTERA a Berlinguer nel 1975, conservata nell’archivio storico della Cgil, con il compromesso storico in gestazione, dirà che qualsiasi strategia di governo è vuota e perdente se non accompagnata dalla costruzione di una rete di «potere democratico» nel tessuto sociale del Paese

Nel suo diario ancora inedito Trentin parla della crisi inesorabile della sinistra già nel 1996 non solo per il cedimento al neoliberismo dominante in salsa blairiana, ma soprattutto per aver messo la governabilità al di sopra di ogni altro contenuto. Il focus dell’azione politica, scrive Bruno, passa così dai governati ai governanti. La formazione decisiva per il partito è la formazione di una nuova classe di governo. Educare i giovani più brillanti all’esercizio del potere invece che a rappresentare i senza potere. Sta lì per Bruno la radice della stessa degenerazione morale. La politica, scrive nel diario, può essere scienza del governo o scienza della democrazia, di cui la funzione di governo è una parte. La sinistra decade quando assume il primo corno dell’alternativa come suo compito pressoché esclusivo. E sta al sindacato come soggetto politico tenere insieme l’intelligenza e la volontà di lotta dei governati.

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Un dibattito dentro il lavoro

Questo ritratto di Bruno Trentin, già segretario della Cgil, è parte dell’intervento che Andrea Ranieri terrà alla presentazione della rivista «Luoghi comuni», edita da Castelvecchi, che dedica il numero 3-4 al tema del lavoro. All’incontro, che si svolgerà oggi alle 17 presso la sede nazionale della Cgil, in Corso d’Italia 25 a Roma, partecipano Peppe Allegri, Roberto Ciccarelli, Giacomo Cossu, Anna Claudia Giordano, Roberto Iovino, Barbara Romagnoli e Gianna Fracassi, vicesegretaria Cgil.