Che Sicilia si ritroverà il nuovo presidente della Regione? Quale eredità lascia Rosario Crocetta al suo successore? Sono stati 5 anni tutti da buttare come sostiene qualcuno oppure l’ex sindaco di Gela qualcosa di buono l’ha fatta? Sentendo parlare i 5 candidati a governatore, Crocetta è stato un disastro. L’ostracismo nei confronti del presidente uscente è stato l’elemento comune delle coalizioni che si sfidano per conquistare più scranni possibili all’Assemblea siciliana. A dare la misura reale però sono i numeri e le azioni compiute o quelle non portate a termine in 5 anni di legislatura: un periodo contrassegnato da fasi alterne, col governo che ha superato indenne tre mozioni di sfiducia pur rimanendo quasi sempre bersaglio del fuoco amico e portando a termine quattro rimpasti, cambiando una sessantina di assessori. Ma andiamo ai numeri.

LA SPESA DEI FONDI UE è sicuramente il punto di forza del governo uscente. Quando si insediò Crocetta trovò una situazione disastrosa, il suo predecessore Raffaele Lombardo aveva certificato appena il 12% del plafond: un miliardo su 11 miliardi disponibili. Un flop. Attraverso operazioni di rimodulazione e un confronto assiduo tra l’ufficio per la programmazione con gli organismi di Bruxelles, la Sicilia ha chiuso al 97%. Un lavoro immane e faticoso che alla fine ha premiato gli sforzi del governo, che ha dovuto rispedire indietro appena 178 milioni di euro rispetto ai 2 miliardi che sembravano persi fino a un anno fa. Una corsa contro il tempo per coprire le falle provocate dai governi precedenti che in passato hanno usato i fondi comunitari per coprire la spesa corrente. Ovviamente la qualità dei progetti finanziati non è stata il massimo: il prezzo pagato per il pericolo di mandare in fumo ingenti risorse. Crocetta lascia una macchina ben avviata sulla programmazione in corso, la 2014-20. Sono una ventina i bandi già chiusi e gli uffici impegnati su Fesr, Fse, Psr e altri programmi minori sono ben avviati: sul tavolo ci sono 9 miliardi. Una bella cifra, che si ritroverà in dote il nuovo inquilino di Palazzo d’Orleans.

ALTRO PUNTO A FAVORE è senza dubbio il bilancio. Cinque anni fa, la Regione era vicina al default: 2 miliardi di deficit, 5 miliardi di debiti e 2,7 miliardi di mancati pagamenti ai fornitori. Per rimettere in sesto i conti c’è voluta l’intera legislatura e una lunga trattativa con lo Stato. Intanto, il bilancio è stato liberato da quelle partite “false” che per decenni lo avevano drogato. Operazioni cartolari e d’ingegneria finanziaria messe a punto solo per tenere in equilibrio un bilancio che sembrava un colapasta. A cominciare dalla «valorizzazione dei beni immobili» della Regione con i quali i governi Cuffaro e Lombardo iscrivevano in bilancio previsioni d’entrata per giustificare spese che alla fine si rivelavano non coperte e con la Corte dei conti a bacchettare di continuo gli amministratori per le partite farlocche. Solo di residui attivi (crediti difficilmente esigibili ma regolarmente iscritti in bilancio) il governo Crocetta s’è ritrovato 15 miliardi di euro e altri 10 di residui passivi (debiti mai pagati). Una montagna di “partite” contabili riportate di bilancio in bilancio negli ultimi vent’anni. Partite che il governo ha via via cancellato attraverso un raccordo continuo con la ragioneria generale dello Stato per fare pulizia nei conti pubblici. Così il bilancio di due anni fa si è chiuso con un avanzo di competenza di 65 milioni e quello dell’anno scorso con un avanzo di 200.

INOLTRE L’ACCORDO con lo Stato sull’Irpef e sull’Iva ha consentito alla Regione di ottenere 2 miliardi in più all’anno, a partire dal prossimo. Una vittoria per il governo, una “svendita” per le opposizioni che hanno accusato Crocetta di avere rinunciato a portare avanti i contenziosi in Consulta per la totale autonomia finanziaria, come prevede lo statuto speciale. Outlook stabile è l’ultimo giudizio espresso dalle agenzie internazionali di rating sulla Regione siciliana.

Bene anche, stando ai numeri, il lavoro compiuto sulla sanità e sulla spesa farmaceutica ridotta di 200 milioni. La Sicilia era agli ultimi punti per livelli essenziali di assistenza, ora è sopra la sufficienza. La nuova rete ospedaliera è stata approvata al ministero, seppure tra le polemiche delle opposizioni, e i conti di Asp e ospedali sono stati rimessi a posto. Rimane la questione delle liste d’attesa che in Sicilia sono lunghe e dei viaggi che molti pazienti fanno per curarsi fuori dall’isola con costi ancora alti per le casse pubbliche. La gestione dei pronto soccorso è ancora carente, anche per la carenza di personale con le assunzioni che dovrebbero scattare a breve. Sul fronte della formazione professionale il merito del governo è di avere destrutturato il sistema per anni in mano ai comitati d’affari e a intere famiglie che si spartivano i fondi pubblici senza creare un solo posto di lavoro in più; ma il demerito di Crocetta è di non aver saputo ricostruire dalle macerie, con 8mila lavoratori espulsi dal sistema, anche se una parte di questi assunti proprio con le vecchie logiche clientelari.

CI SI ASPETTAVA DI PIÙ su altri due fronti caldi: la gestione dell’acqua pubblica e dei rifiuti. Due riforme rimaste incompiute per gravi errori commessi in passato ma anche per la scarsa capacità degli amministratori e della classe politica che ha affiancato il governatore a trovare una soluzione definitiva. E così l’acqua rimane in mano ai privati e la gestione dei rifiuti resta incentrata sul modello delle discariche sempre più sature mentre la raccolta differenziata è ben lontana dal 65%. Per non parlare delle infrastrutture: vecchie e carenti. E se le autostrade si percorrono come gimcane e le ferrovie viaggiano ancora a binario unico per lunghi tratti c’è chi rispolvera il progetto del Ponte sullo Stretto: idea rilanciata da Fabrizio Micari, candidato del centrosinistra, e condivisa, perché suo antico cavallo di battaglia, da Silvio Berlusconi.