La legge sulla parità nell’eredità sarà discussa dal parlamento tunisino. L’annuncio è stato dato ieri, 13 agosto, dal presidente della repubblica Béji Caid Essebsi in occasione del 62.mo anniversario della promulgazione del Codice dello statuto personale di Bourghiba.

«Annuncio la revisione del Codice di statuto personale poiché il nostro riferimento resta la Costituzione e non il testo coranico…. Questo nuovo progetto di legge lascia la libertà a coloro che vogliono applicare la parità nell’eredità ma anche a quelli che vi si oppongono e vogliono applicare il testo religioso», ha spiegato il presidente.

A un anno dalla nomina della Commissione delle libertà individuali e dell’eguaglianza (Colibe), il presidente accoglie, per ora, i suggerimenti in merito al tema dell’eredità, questione centrale, del rapporto della Colibe presentato il 12 giugno.

Il rapporto ha suscitato una reazione dura da parte dei religiosi e di tutti i conservatori che basano la loro ostilità sull’undicesimo versetto della Sura delle Donne del Corano che recita: «Ecco quello che Allah vi ingiunge a proposito dei vostri figli: al figlio una parte equivalente a quello di due figlie». Infatti in tutti i paesi musulmani le donne ereditano la metà del maschio perché nessuno osa toccare un precetto coranico. Lo stesso Bourghiba quando varò nel 1956 un codice della famiglia progressista (che aboliva la poligamia, garantiva il divorzio a maschi e femmine e ammetteva l’aborto), aveva rinunciato alla parità nell’eredità per il veto opposto dagli ulema.

Tuttavia, su un tema così controverso, il presidente ha accettato il compromesso suggerito dalla Colibe che prevede per chi lo stabilisce in anticipo di poter fare riferimento ai dettami della Sharia.
Il 13 agosto in Tunisia è anche la festa della donna. Le donne tunisine, che da anni si battono per la parità nell’eredità, ieri sono scese in piazza, anzi nella centrale Avenue Bourghiba per ribadire il loro sostegno e chiedere la realizzazione delle raccomandazioni contenute nel rapporto della Colibe, che oltre all’eredità riguardano l’abolizione della pena di morte, del crimine di blasfemia, la depenalizzazione dell’omosessualità, l’uguaglianza dei genitori nella tutela e custodia dei figli, la libertà di coscienza e di opinione. «Questo rapporto è un atto di civilizzazione, una rivoluzione», ha dichiarato a Jeune Afrique Monia Ben Jemia, già presidente dell’Associazione tunisina delle donne democratiche (Atfd).

Con le magliette rosse con la scritta «Donna tunisina = Donna di valore» le tunisine hanno sfidato gli oppositori della legge che nella stessa Avenue Bourghiba si sono dati appuntamento il 3 agosto per una preghiera. Il Coordinamento nazionale di difesa del Corano, della Costituzione e dello sviluppo equo aveva invece organizzato sabato scorso una marcia che si era conclusa in piazza del Bardo davanti al parlamento e che aveva avuto l’adesione anche di diversi esponenti del partito islamista di Ennahdha. Il presidente del Coordinamento nazionale di difesa del Corano, Noureddine Khadmi, ex ministro degli affari religiosi del governo islamista – che chiede anche una fatwa – ha lanciato gli slogan con l’hashtag #non à la fitna (no alla guerra civile, che lascia intendere la portata dello scontro): «No alla distruzione della famiglia, no all’attentato alla religione e no all’infrazione della Costituzione».

Ma il presidente Beji Caied Essebsi ieri, nel suo discorso, ha voluto ribadire che lo stato non è garante dei precetti dell’islam. «Il secondo capitolo della Costituzione è chiaro e stabilisce che la Tunisia è uno stato di diritto basato sulla cittadinanza, la volontà del popolo e la supremazia della legge», ha affermato Essebsi.
Lo scontro tra sostenitori e oppositori della legge sulla parità dell’eredità si farà più duro in vista del dibattito parlamentare, quando i partiti dovranno uscire allo scoperto. La portavoce del presidente Saida Garrach ha rivelato che Ennandha ha inviato una lettera a Beji Caied Essebsi in cui respinge la proposta di legge sulla parità nell’eredità. Posizione facilmente comprensibile ma non facilmente gestibile.

Ennahdha, primo partito in parlamento con 68 deputati contro i 56 dell’alleato Nidaa Tounes (il partito del Presidente, che ne ha persi diversi a causa di varie scissioni), l’unico a sostenere a spada tratta il premier Youssef Chahed, cerca di accreditarsi nel passaggio da movimento religioso a partito politico, percorso riconosciuto ieri anche dal presidente tunisino. Il modello di Rachid Ghannouchi, leader del partito islamista, è il presidente turco Erdogan che tuttavia in questi momenti si trova in ben note difficoltà.

La proposta fatta ieri da Beji Caid Essebsi, sebbene prevedibile, imbarazza Ennahdha che per poter vantare una sua evoluzione dovrebbe mostrarsi più disponibile rispetto alle raccomandazioni della Colibe, ma questo scontenterebbe la base del partito e, viste le perdite già subite nelle ultime elezioni, non è una soluzione praticabile. Dunque lo scontro appare inevitabile.