«La rivoluzione, come il desiderio, è inevitabile e imprevenibile, e non finirà mai di sconvolgere i custodi del terreno dei bisogni»; così Elvio Fachinelli nel suo volume Il bambino dalle uova d’oro (1974) restituiva in un breve passaggio alcune questioni cruciali che in quegli anni attraversavano pratiche politiche e discussioni pubbliche. E se la rivoluzione atteneva al fulgore di una esperienza «esclusiva» come quella del ’68, vi era qualcosa che era stato lasciato fuori e che, ormai da qualche tempo, era stato riammesso alla «dignità» di menzione: Il desiderio dissidente, luminosa sintesi che lo stesso Fachinelli nel ’68 ha dato in riferimento al movimento studentesco, e che oggi è il titolo di un volume tanto prezioso quanto attuale. Per le cure di Lea Melandri, si tratta di una antologia (edita da DeriveApprodi, pp. 249, euro 19) che raccoglie alcuni interventi pubblicati tra il 1971 e il 1977 nei ventotto numeri della rivista «L’erba voglio». Antiautoritarismo, scuola, femminismo, antipsichiatria, molti sono stati i temi esplosi in quegli anni, detonando ciò che era rimasto a latere dell’intransigenza. Antimilitarismo, lotte operaie, atomizzazione del lavoro, controinformazione, la «sfinge della psicoanalisi».
A fare da contrappunto erano esperienze e intelligenze tra le più brillanti e irriverenti di quegli anni, non solo della scena milanese. Aprire a corpi, sessualità, vita affettiva, senza sconti, è stata la scommessa per creativi e appassionati nodi, interrogati sì che poi sarebbero riemersi e che, a ben guardare, hanno senso ancora oggi. È in questa direzione che Melandri ha operato una scelta di ciò che può risultare ancora oggi urgente, preferendo alcune tra le firme più efficaci. Il desiderio dissidente ospita dunque Luisa Muraro – in un affilato testo del 1972 – e la sua riflessione sulla politica mutilata là, in quella «zona d’ombra», dove si sono trovate le donne sia rispetto alla storia collettiva che alle teorie rivoluzionarie. Così ancora Elvio Fachinelli sulle connessioni tra sogno e apparato di dominio; infine Giovanni Losi, Valentina Degano, Mario Casari, e ancora Caterina Guerra, Antonio Prete, Antonella Nappi e altri, compresa la stessa Lea Melandri e il suo contributo del 1975 intitolato «L’infamia originaria» (due anni più tardi diventerà il titolo di un libro importante per la storia del femminismo italiano) in cui, nella crepa tra la coercizione e il suo fantasma, tra la delega e l’autonomia, si annida il sorriso di Franti. Fuori dall’ortodossia, dentro il sovvertimento e l’anomalia di cui anche «L’erba voglio» ha fatto parte.