Le partite di calcio ascoltate alla radio hanno un fascino particolare, le voci concitate dei radiocronisti ci portano dentro lo stadio e ci fanno vivere con emozione le partite che non vediamo. Ci sono trasmissioni radiofoniche che hanno segnato la storia calcistica, e non solo, del nostro paese, contribuendo al processo di alfabetizzazione degli italiani come Tutto il calcio minuto per minuto. Le voci e i nomi di alcuni radiocronisti sono entrati nelle case di milioni di italiani, come quelle di Enrico Ameri e Sandro Ciotti, maestri di Riccardo Cucchi, per trent’anni voce storica di Tutto il calcio minuto per minuto, che ha scritto un bellissimo libro, Radiogol (Il Saggiatore, euro 18), e in questa intervista ci svela che Fabio Capello e Carlo Ancelotti preferiscono di gran lunga le radiocronache alle immagini televisive.
«Tutto il calcio minuto per minuto» ha raccontato mezzo secolo di partite giocate la domenica pomeriggio sui campi di serie A. Può essere paragonata alla trasmissione condotta dal maestro Manzi in tv, che aveva il compito di alfabetizzare gli italiani?
Tutto il calcio minuto per minuto nasce nel 1960, c’era molta attenzione alla lingua, alle parole scelte, alla pronuncia. Penso che quei primi radiocronisti, che ho ascoltato da ragazzino e poi ho avuto il piacere di conoscere e l’onore di averli come maestri e compagni di lavoro, come Enrico Ameri e Sandro Ciotti, Roberto Bortoluzzi, primo conduttore e regista della trasmissione, ci abbiano insegnato a parlare l’italiano, aiutati a ragionare intorno alla lingua fatta di tanti dialetti e abbiano favorito un processo di unificazione culturale, difficile a compiersi nella storia del nostro paese.
Ci sono personaggi del calcio che preferiscono la radio alle immagini televisive?
Carlo Ancelotti mi ha detto di essere nato ascoltando la radio e che ancora oggi preferisce seguire le partite attraverso la radio. Anche Fabio Capello è un grande appassionato della radio, alcuni anni fa mi raccontava che insieme alla moglie molto spesso accendevano la radio per ascoltare la partita, preferivano il racconto della partita, soprattutto quello dei grandi maestri che ci hanno preceduti, Ameri e Ciotti, e poi il nostro. È interessante questo aspetto, non solo perché sono manifestazioni di affetto verso la radio da parte di due grandi maestri del calcio internazionale, come Capello e Ancelotti, ma perché penso che quel modo di raccontare senza immagini abbia fatto la fortuna del calcio. La radio attraverso la sintonia che si stabilisce tra chi racconta e chi ascolta, fa sì che la fantasia sostituisca l’immagine e la renda più bella e più libera. Sollecitare la fantasia consente una crescita umana e culturale.
Nella classifica metti Enrico Ameri al primo posto e Sandro Ciotti al secondo. Quali le differenze?
Sandro Ciotti ha sempre sofferto il ruolo di secondo rispetto a Enrico Ameri. Ciotti è stato un grande intenditore di calcio, era un uomo di cultura, dotato di una ricchezza lessicale straordinaria. Ameri aveva la naturale disposizione del radiocronista, la capacità di trasportarti nel racconto, di portarti dentro lo stadio, di farti vedere la partita. Ciotti non riusciva a mantenere il ritmo di Ameri, correggeva questa mancanza arricchendo il suo linguaggio e trasformando il racconto della partita in una pagina di letteratura. Penso che il radiocronista perfetto sia la sintesi di queste due grandi personalità, quella di raccontare, emozionando e facendo volare l’ascoltatore direttamente dentro lo stadio, che era di Enrico Ameri e la competenza lessicale, l’intelligenza e l’ironia che era propria di Sandro Ciotti. Tutti ricordano di Ciotti frasi, allocuzioni, invenzioni lessicali straordinarie come «ventilazione inapprezzabile», o la frase: «Ha arbitrato Lo Bello di fronte a sessantamila testimoni» usata allora come espressione di grande critica nei confronti di un arbitraggio. Oggi si usano parole violente nei confronti di un modo di arbitrare.
La passione per la musica ti ha aiutato nelle radiocronache delle partite di calcio?
Penso che la radiocronaca se fatta bene, sia un esercizio di musicalità. Il radiocronista dovrebbe evitare la voce monocorde e creare un’onda che accompagni lo sviluppo delle azioni, l’emozione di chi racconta e di chi ascolta, avere la capacità di rendere tutto il più musicale possibile, del resto una partita di calcio è come una partitura. Ogni giocatore che si muove sul campo di calcio rappresenta una nota, tutto ciò che una squadra riesce a fare quando si avvicina all’area di rigore con il pallone rappresenta la composizione, che viene letta complessivamente. Ci sono tantissime similitudini tra una partitura musicale e la lettura di una partita, la musica emoziona come il calcio.
I nuovi radiocronisti?
Una volta per fare Tutto il calcio minuto per minuto bastavano cinque o sei bravi radiocronisti, in televisione addirittura un telecronista, c’è stata l’epoca di Nando Martellini e poi quella di Bruno Pizzul. La moltiplicazione degli eventi per sette giorni comporta la necessità di raccontare più eventi e di avere più voci. Non è facile fare questo mestiere, diventare bravi radiocronisti, telecronisti, c’è ancora un buon livello, ma anche dei vuoti, delle lacune. Quello che è mancato a questa generazione sono i maestri, che avevano la pazienza di insegnarci le cose. Oggi, tutto si consuma rapidamente, soprattutto non c’è più l’attenzione da parte dei capi a come il racconto di una partita viene sviluppato. Io prima di andare al microfono ho fatto corsi di formazione, che sono durati mesi e mesi, oggi non esistono più neanche nel servizio pubblico, ed è un grande peccato. Il più grande difetto che noto nei radiocronisti di queste ultime generazioni è il tentativo di sovrapporsi all’evento, noi non siamo dei protagonisti, specialmente alla radio, siamo dei narratori, dei testimoni. A volte ho la sensazione che nelle nuove generazioni ci sia un eccesso di personalismo, l’evento è secondario rispetto a chi lo racconta. È un grave errore.