Ha ragione Carlo Freccero (il manifesto, 6/6/18) il populismo nasce dai diritti del “popolo” che la sinistra ha cessato di rappresentare. Ma occorre aggiungere che di questo passo finirà male. Già il Pd di Renzi ha lasciato campo libero all’alleanza M5S-Lega.

Questa scelta del Pd verrà fatta pagare dai superstiti simpatizzanti di quel partito a un gruppo dirigente palesemente subalterno a un capo rovinoso. E dunque quale energia possiederà la ventilata politica di opposizione? L’asse del governo si sposterà drammaticamente a destra: al ceto politico riesce sempre più agevole soddisfare i poteri dominanti che contrastarli. Nel frattempo nel campo disintegrato della sinistra SI e LeU discutono da mesi se rimanere insieme, Potere al Popolo svolge le benemerite attività mutualistiche, ma come se si trovasse in un altro paese.

Difficilmente, porterà a qualche risultato la pratica del vasaio povero. Il tentativo di ricomporre il vaso rotto incollando i vari frammenti, sparsi nella bottega, magari partendo dal pezzo più grosso. Difficilmente perché è proprio il pezzo più grosso l’ostacolo maggiore alla riparazione. Lo è paradossalmente e simultaneamente per le cose buone e utili che può vantare e per quelle dannose. Il partito democratico è ancora l’unico grande partito nazionale strutturato in sedi disseminate nel paese, con quadri periferici di provata esperienza, amministratori capaci, fornito anche di un personale politico centrale in cui non mancano dirigenti di fede democratica e competenza.

Al tempo stesso però, questo partito, in periferia, soprattutto dove ha a lungo governato, si è incistato col mondo degli affari locali, si è fatto potere dominante. Avendo dismesso opposizione e controllo amministrativo, finisce spesso, nella varia geografia della penisola, coll’incrociare le reti del mondo criminale.

Al centro è diventato, a dispetto delle figure dignitose che ancora lo abitano, punto di riferimento dei ceti medio-alti del paese, soprattutto raggruppamento di ceto politico impegnato a presidiare la propria collocazione nel Parlamento e nel governo. Il Pd, nato per lo scopo astratto di modernizzare il sistema politico, non aveva nel suo progetto alcuna comprensione della natura e dinamica del capitalismo deregolamentato e globale. Sennonché, dopo il crollo dell’Urss, è finito il Novecento, il capitalismo ha inaugurato un processo di mondializzazione senza regole, scatenando una feroce lotta di classe contro il lavoro. E’ un paesaggio di conflitto, universalmente noto, fatto di riduzione delle conquiste sindacali, di restrizione del welfare, di precarietà, a cui il centro-sinistra, che aveva imboccato un’altra strada, non ha saputo opporre resistenza. Ma i ceti popolari trascinati nella disperazione sociale non aspettano, e non bastano 80 euro a tenerli lontani dalle sirene del populismo. La democrazia si difende organizzando e rappresentando l’antagonismo di classe, difendendo chi è attaccato nelle sua basi vitali. Renzi ha solo “finito il lavoro” dei suoi predecessori, facendo proprio il punto di vista dell’avversario, deregolamentando ulteriormente il lavoro, tentando di trasformare la scuola in apprendistato aziendale da paese povero, sottraendo al fisco la rendita delle prime case, accrescendo le disuguaglianze e le fasce di povertà, come provano le statistiche impietose di Banca d’Italia e Istat.

Da questa deriva tuttavia non si esce estromettendo Renzi e promettendo un cambio di marcia. Occorre avere il coraggio intellettuale, oltre che politico, di riconoscere che «l’amalgama mal riuscita» del Pd non è stato che il compromesso fra due grandi culture politiche del ‘900 giunte nel fase del loro esaurimento storico. Erano singolarmente inadeguate già alla fine del secolo, di fronte all’esplosione della questione ambientale, alla rivoluzione tecnologica, ai processi di mondializzazione, allo scatenamento del capitalismo finanziario. Il Pd è nato vecchio.

Da lì nulla può venire se non di drammaticamente inadeguato alle necessità presenti. Occorre che questo ingombrante patto si risolva nelle sue parti e liberi le sue energie migliori. Oggi è l’occasione per dire fine a questa esperienza. Solo il suo scioglimento potrebbe favorire quello di tutte le altre, pur vitali, sigle sparse nel Paese, per dar vita a un’assemblea costituente, che duri anche dei mesi, in grado di raccordare le forze su pochi, essenziali nodi strategici. Bisogna ricostruire un vaso diverso e perciò occorrerà argilla nuova.

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