Ultimina l’avevano chiamata così perché pensavano che dei numerosi figli fosse l’ultima ma dopo, ride lei, ne è arrivata un’altra. Quei figli, come nelle fiabe, erano forza lavoro, servivano in campagna, a stare fuori con gli animali: «Chissà perché ci facevano se poi dovevamo faticare così» ricorda lei. Che ancora si sente pizzicare addosso la maglia ispida di lana, le calze lunghe che la dovevano proteggere nei campi, al pascolo e invece si bagnavano e facevano male. A scuola non c’è andata, solo un paio d’anni, a scrivere e a leggere ha imparato un po’ così, da sé, mai bene in fondo. Ma chi è Ultimina? Una contadina, e un personaggio, la protagonista del nuovo film di Jacopo Quadri, che ne porta il nome nel titolo, Ultimina, presentato in questi giorni a Idfa, il festival del documentario di Amsterdam che si sta svolgendo in doppia versione – in presenza per il pubblico olandese e in streaming per gli accreditati internazionali a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia.

Quadri torna nella campagna della Maremma, a Sovana, i luoghi del suo precedente Lorello e Brunello, e nella storia dei due fratelli agricoltori, della loro battaglia quotidiana per non essere inghiottiti dalle economie attuali, c’era anche Ultimina: appariva tra gli altri incontri con quella sua ironia un po’ ruvida che impariamo qui a conoscere meglio, portandosi dietro una memoria importante, che il regista con sensibilità ha voluto ascoltare.

ECCOLA così al centro di una nuova storia che scopre ancora una volta attraverso un vissuto una dimensione collettiva: l’Italia contadina prima della guerra – e dopo – e quella delle donne, come Ultima Capecchi – appunto – sottomesse da una società patriarcale, mariti, padri violenti, regole a cui lei sin da ragazzina prova quasi istintivamente a opporsi.
Amava il marito? Probabilmente no a quanto dice ma lo ha sposato: erano giovanissimi, lei avrebbe voluto divertirsi, le piaceva ballare però da sola non poteva uscire e col futuro consorte nemmeno – il fratello la controllava. Allora lei preferiva tornarsene a casa: e poi?
Non c’era altro orizzonte per Ultimina come per tante altre ragazze che matrimonio, lavoro, famiglia, l’educazione era cosa da ricchi e da maschi e pure sognare un’altra vita diventava una cosa di cui avere paura. Le immagini del presente accompagnano Ultimina nella sua ritualità quotidiana: la visita al cimitero, dove sta tutta la sua famiglia, le passeggiate solitarie in quella campagna ormai svuotata. La vediamo mentre zappa, a casa, uscire un po’ vezzosa davanti alla macchina da presa con un vestito scuro. E camminare diritta, svelta anche se col bastone, figura impettita i cui anni, più di ottanta, sono tracciati solo nella rete di linee sul volto.

IL PASSATO appare dagli album che Ultimina sfoglia: fotografie in bianco e nero, a colori, tavolate di famiglia, lei ragazzina, giovanissima donna. I parenti, il marito, il suocero: per ognuno di quei volti c’è un dettaglio che testimonia una cultura, una società, un Paese. Perché sono soprattutto le parole di Ultimina a costruire questa narrazione, l’oralità del raccontare di una tradizione antica che va oltre il «fatto», l’accadimento in sé ma nella distanza lo trasforma in esperienza, in pensiero. E insieme è il suo sguardo diretto, mai in imbarazzo davanti all’obiettivo, che entra in questo incontro senza scostarsi una sola volta; con semplicità limpida e senza rancore.

Ultimina dalla sua vita trae riflessioni che riguardano una condizione comune – a cominciare appunto dalla libertà delle donne, a un certo punto dice che oggi quando parla di sé alla nipote, la ragazzina piange ascoltando quelle sofferenze. Però non è mai rabbiosa – erano altri tempi ripete ogni volta, e la sua lucidità è quella di una consapevolezza che oggi appare ancora più preziosa.
È in questo spazio che entra il regista il cui gesto di filmare si costruisce su una relazione, e da lì pian piano va a scoprire qualcos’altro, quel sentimento che riguarda la realtà, il tempo, la storia. E le sue immagini nella luce di ogni giorno – colta da Greta De Lazzaris – non sono mai descrizione ma contrappunto permettendo alla parola di vivere liberamente, di incontrarsi con l’immaginazione di noi spettatori. L’epopea di Ultimina attraversa quasi un secolo e ci porta lontano da quel paesaggio di pace con cui spesso contrasta, e che lei come un cavaliere solitario attraversa col suo specialissimo umorismo. Quadri ce la fa conoscere riuscendo a mantenerne la «verità» con la sua presenza sempre dichiarata che a un certo punto è un po’ anche la nostra. È quanto c’è di più difficile nel corpo a corpo col mondo.