La via della seta richiama immediatamente l’immagine di polverose carovaniere che passavano da Kashgar, Samarcanda, Bukhara, Tabriz, i deserti del Gobi e le oasi turkestane, per giungere attraverso Costantinopoli fino al Mediterraneo. È vero tuttavia che molte delle merci che partivano da Oriente per giungere in Occidente non si muovevano per vie di terra, ma per quelle di mare. Anche il nome è almeno parzialmente fuorviante: già nel VI secolo la produzione della seta si era impiantata a Bisanzio, anche se fu solo dal VII e dalla prima intermediazione araba che essa si fece più diffusa; il che significa che altre erano le merci che viaggiavano per le le vie di terra e di mare.

FINO ALL’EPOCA di Marco Polo, gli europei sapevano poco dell’Asia centrale ed estrema. Molto più di loro conoscevano gli arabi che erano abituati a viaggiare in quel continente e a commerciare con esso. È con la nascita e l’espansione dell’Islam, dunque, che si venne a creare un tessuto connettivo continuo fra Oriente asiatico, coste africane e Occidente europeo. Fino dal IX secolo i mercanti del Golfo Persico frequentavano la Cina, mentre le navi giavanesi giungevano, favorite dal regime dei venti detti «monsoni», fino alla penisola arabica. Arabi o persiani erano coloro che guidavano i mercanti europei, che per loro traducevano nomi di cose e luoghi. Non è casuale che il Milione rechi traccia di questa mediazione arabo-persiana. Ed è attraverso questi contatti che viaggiavano anche, oltre alle merci, strumenti scientifici, cartografia, culti religiosi, idee, racconti.

PER QUESTO, LA MOSTRA Aventuriers des mers. De Sindbad à Marco Polo, organizzata dall’Institut du monde arabe, parlava in primo luogo dei viaggiatori e geografi arabi: da al-Idrîsî (ca 1100-1165) a Ibn Jubayr (1145-1217) a Ibn Battûta (1304-1377). Senza dimenticare però il veneziano Marco Polo (ca 1254-1324), il più celebre fra i viaggiatori europei; e neppure il coté leggendario, così importante, rappresentato da Sindbad, il marinaio delle Mille e Una Notte. L’esposizione, conclusasi a Parigi, dal 7 giugno al 9 ottobre 2017 si replicherà al Musée des Civilisations de l’Europe et de la Méditerranée di Marsiglia. Il catalogo Aventuriers des mers. VIIe-XVIIe siècle (Hazan, pp.224, ill.170, euro 29) approfondisce, attraverso una serie di brevi saggi, molti dei temi che nella mostra sono, per forza di cose, soltanto accennati.

Anche se, come detto, la seta non era più monopolio cinese, tante altre erano le merci che viaggiavano sulle vie commerciali eurasiatiche. Le più richieste e pregiate erano l’oro e l’argento di Sumatra, della Malesia e della Corea, oppure dell’Africa subsahariana; il sandalo, il bambù, la canfora, e il muschio asiatici, oppure l’incenso e la mirra d’Etiopia; le pietre preziose provenienti da Ceylon o dall’India. Ma anche le spezie vere e proprie: pepe, noce moscata, chiodi di garofano, cinnamomo. Della centralità di queste merci come motore del commercio internazionale ci parla l’ultimo libro di Anna Unali, Verso le isole delle spezie. Il commercio delle spezierie alle origini della penetrazione europea in Asia (L’Harmattan Italia, pp.304, euro 34).

Come nella rassegna francese, anche in questo libro protagonista è l’Oceano Indiano e il traffico marittimo che lo attraversava. L’autrice intreccia relazioni di viaggio di origine differente: arabe, cinesi, italiane, portoghesi. Perché è soltanto attraverso questa polifonia che si può avere un quadro completo di questa straordinaria epopea terrestre e marittima, che tanta influenza ha avuto sull’Europa bassomedievale e moderna.
Al di là delle direttrici intercontinentali, si viaggiava anche su tratte più modeste, ma non per questo meno importanti. Ce lo spiega bene Maria Serena Mazzi nel suo In viaggio nel Medioevo (il Mulino, pp.336, euro 24).

LA RINASCITA COMMERCIALE, che nel XII secolo trovò il suo centro nelle fiere di Champagne, nelle Fiandre, in Italia, era sovente basata sulle vie fluviali intrecciate a quelle terrestri. Una linea parallela al corso del Reno collegava alla pianura padana; da Milano si arrivava sia al porto di Genova sia a quello di Venezia, sia al nodo stradale di Piacenza dove si incontrava la grande arteria medievale italiana, la Via Francigena che conduceva a Roma. Da lì, il tracciato dell’antica Appia Traiana raggiungeva i porti pugliesi, il canale d’Otranto, Costantinopoli e magari l’Oriente.
Si viaggiava anche per ragioni di pellegrinaggio, un capitolo importante della storia del viaggio medievale, nonché nel libro di Mazzi, che ne racconta la storia partendo dalle fonti dirette: i tanti racconti di viaggio bassomedievali che in questi ultimi anni hanno vissuto una meritata riscoperta.

Ad accoglierli a Gerusalemme vi era l’Ordine francescano, che dal Duecento aveva fondato la Custodia di Terrasanta, una importante istituzione ancora attiva ai nostri giorni e che ha dato non solo ospitalità, ma anche un’intensa attività culturale, archeologica, educativa. Ne ricostruisce la storia per i primi secoli di vita Beatrice Saletti in Francescani in Terrasanta. 1291-1517 (libreriauniversitaria.it, pp. 224, euro18,90).

OLTRE ALLE PERSONE e alle merci, lungo le strade viaggiavano anche ospiti indesiderati. La peste di metà Trecento arrivò attraverso le vie commerciali asiatiche, poi sulle navi che dal Mar Nero facevano la spola con l’Italia. Noi la ricordiamo come un flagello per l’Europa, ma il morbo colpì l’intero bacino del Mediterraneo.
È il punto di partenza di un libro di grande portata scientifica e culturale: Salvatore Speziale, Il contagio del contagio. Circolazione di saperi e sfide bioetiche tra Africa ed Europa dalla Peste nera all’Aids (Città del Sole, pp.708, euro 24). Sulle sponde meridionali del Mediterraneo, nel mondo arabo-islamico, l’arrivo del contagio venne registrato con spavento, ma diede anche origine a tante domande sulle sue cause e sui possibili rimedi.

A parte la ricostruzione del dibattito, particolarmente vivace perché la medicina e le scienze arabe al tempo vivevano una straordinaria fioritura, uno dei punti di forza del lavoro sta nel dimostrare come le due sponde del bacino mediterraneo si somigliassero, come le epidemie suscitassero un dibattito comune, come le reazioni fossero simili. In fondo, come davvero il Mediterraneo sia un mare che raccoglie intorno a sé una sola cultura con alcuni tratti differenzianti. Dove la religione è solo un elemento fra i molti possibili, nessuno dei quali divisivo.

 

SCHEDA

Marco Polo la definisce una «nobile città» popolata di cristiani e musulmani. Franco Cardini le ha dedicato un libro recente: Samarcanda. Un sogno color turchese (il Mulino, pp.325, euro 16). Centro di fondamentale importanza lungo la via della seta, Samarcanda rimanda a orizzonti mitici anche sotto il profilo letterario. Molti ricorderanno la canzone di Roberto Vecchioni: mentre festeggia la fine della guerra, un soldato scorge una donna vestita di nero che lo guarda con malevolenza. Credendo che sia lì per lui, scappa verso Samarcanda, dove trova la morte ad attenderlo. Probabile modello è l’Appointment in Samarra (1933) di William Somerset Maugham, che a sua volta rinvia a una storia molto più antica che nelle sue varie forme ha quale tema centrale l’appuntamento con il destino fatale. Ne conosciamo una versione narrata nel IX secolo del sufi Fudail Ibn Ayad nel suo Hikayat-i-Naqshia (Storie concepite secondo un disegno), dove tuttavia l’Angelo della Morte dà appuntamento a Baghdad. Il motivo potrebbe avere le sue radici nella letteratura talmudica. Una Haggadah racconta la storia di due fratelli spinti dall’Angelo della morte a trovare asilo nella leggendaria Luz, città degli immortali, per incontrare, invece, il proprio destino mortale, appena prima di varcarne le soglie.